Quel treno per Parigi passa prima per l’America

per infilarvi la chiave. Così è anche la scena che si offre come serratura per la chiave interpretativa di questo nuovo film di Clint Eastwood, 15:17: To Paris (Attacco al treno, nel titolo italiano). Una scena di un paio di minuti, apparentemente insignificante. I protagonisti sono in visita a Berlino e la guida li conduce di fronte al luogo dove, il 30 aprile 1945, mentre i carrai armati sovietici penetravano nella città, Hitler, chiuso nel suo Führerbunker si suicida con una capsula di cianuro insieme a Eva Braun. Antony Sadler, uno dei ragazzi, dice che lui sapeva che Hitler fosse morto nella cosiddetta Tana del Lupo e mentre arrivavano i carri armati americani. La guida gli risponde affabilmente che i manuali americani sono sbagliati e che non sempre quando è stato sconfitto il male è avvenuto grazie agli americani. Una scena che ai più sfugge, ma che è la vera scena-serratura che ci fa capire bene il discorso che propone il regista. Cominciamo però dall’inizio.

Il 21 agosto 2015 si diffonde in tutto il mondo la notizia di un tentato attacco armato sul treno Thalys 9364 partito da Amsterdam e diretto a Parigi. Attacco sventato da tre coraggiosi giovani americani che stavano trascorrendo una vacanza in Europa. I tre giovani sono appunto i protagonisti che interpretano nelle loro stesse persone – ossia non attraverso attori – il film. Sono: il già nominato Antony Sadler, Spencer Stone e Alek Skarlatos. Il film di Eastwood ricostruisce la loro vicenda della loro amicizia dalle scuole elementari fino a quel cruciale giorno sul treno su cui un jihadista stava per compiere una strage con un fucile mitragliatore. Tre ragazzini abbastanza e indisciplinati e ribelli a scuola, uniti proprio in questo immediato riconoscersi dei loro caratteri di indipendenza e coraggio. Già in questa fase spicca la loro passione per le armi e i giochi di simulazione bellica che esercitano dopo scuola nei boschi attorno a casa. Una passione, quella militare, che diventa per i due bianchi del trio, Spencer e Alek, la loro scelta di vita da grandi. Antony, il coloured, sceglie un’altra strada.

Al tempo dei fatti Spencer aveva appena terminato una durissima e severissima scuola militare in un corpo speciale per gli interventi di salvataggio. Alek si era arruolato nell’esercito americano, aveva combattuto e aveva poi deciso di raggiungere la sua fidanzata in Germania. Così che gli altri due amici decidono di andare a fargli visita e trascorrere un po’ di tempo con lui in Europa. Vanno, però, prima in visita a Roma e Venezia. Eastwood interrompe ogni tanto la narrazione dell’infanzia e del viaggio da grandi in Europa, facendo riapparire brevemente sullo schermo il treno, ripreso con scorci dall’alto, dal basso, di lato, attraverso delle efficaci inquadrature realizzate per lo più con droni. Anche le riprese in Italia sono eleganti, alternate con un montaggio, fluido, sapiente da grande maestro del cinema. Tanta bravura registica vuole mettere bene in risalto la bellezza di un patrimonio artistico-architettonico inestimabile, di come possa lasciare senza fiato i turisti, come quei tre semplici ragazzi americani, mostrandocelo da angolature anche insolite e con uno scopo non meramente estetico, anzi. Dopo Berlino, dove tutto si riduce quasi solo a quella scena inizialmente descritta, i tre devono andare a Parigi, ma un vecchio musicista, incontrato in una birreria, li convince a non rinunciare ad Amsterdam, città-tappa obbligata per lo stile di vita. Qui trascorrono una nottata da sballo in discoteca, svegliandosi a giorno già ben fatto. Poi li ritroviamo alla stazione, che salgono a bordo di quel treno Thalys 9364 diretto a Parigi. Vi salgono con i loro zaini da bravi ragazzi americani, quasi fossero proprio dei pesanti zaini d’ordinanza militare. Vanno subito a cercarsi una carrozza nella quale funzioni il wi-fi per connettersi con i loro smart-phone.

Ecco, qui possiamo riconnetterci anche noi alla serratura di quella inappariscente scena-serratura descritta all’inizio. L’intento di Eastwood, infatti, è proprio di smentire l’affermazione di quella guida berlinese, relativamente alla circostanza che non ci sono sempre gli americani quando viene sconfitto il male. Ciò che avviene alle 15:17 su quel treno dimostra invece esattamente il contrario. Gli unici a non cedere al terrore del mitragliatore spianato dall’assalitore islamico sul loro vagone sono solo e soltanto quei tre ragazzi, mentre tutti gli altri fuggono, tanto che un passeggero riceve una pallottola alla schiena. Spencer, in particolare si scaglia, contro la canna dell’arma puntata su di lui, si avvinghia in un corpo a corpo con il jihadista che gli molla anche una pugnalata al collo. Questo perché gli americani sanno combattere e sanno che devono farlo e lo faranno in qualsiasi parte del mondo venga messa in pericolo la libertà umana individuale e dei popoli. Gli europei non sanno, non possono farlo, non hanno neanche un loro esercito continentale, ma solo tanti eserciti, corpi speciali, intelligence nazionali, frammentati, quando addirittura non in rivale concorrenza tra loro. Quel vagone in corsa, in preda al terrore folle è il simbolo del mondo intero, dell’Europa in particolare, visti i continui efferati attacchi che ha subito e che è destinata ancora a subire a causa della propria debolezza, inattitudine, inconsistenza militare. Fattori che mettono a rischio tutto il suo patrimonio storico, culturale, artistico. Solo il cosiddetto ombrello americano – atomico e convenzionale – può continuare a proteggerla.

Il discorso di Eastwood ha naturalmente un suo fondamento anche brutalmente realistico ed è raccontato attraverso la sua sperimentata mano registica, anche se il film mostra più di una falla. Fa però un certo effetto vedere che l’ex presidente francese François Hollande si presta a fargli da comparsa. La fa offrendo la sua stessa persona alla ricostruzione della scena di premiazione realmente avvenuta. Il presidente di una delle due più importanti nazioni europee – caratterizzata storicamente per l’orgoglio nazionale della sua grandeur – appunta sì le medaglie al petto ai tre ragazzi americani, ma nella trama narrativa e iconografica del film tale gesto assume il significato di un riconoscimento al massimo grado a quella egemonia politica e militare americana dalla quale l’Europa non potrà, non dovrà mai staccarsi.

di Riccardo Tavani

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