Quarant’anni sono passati. Era il mese di maggio quando furono uccisi Peppino Impastato e Aldo Moro

Quarant’anni fa sono successe alcune cose molto importanti. C’è stata la strage di Via Fani, l’omicidio di Aldo Moro e – nello stesso giorno: il 9 maggio – l’omicidio di Peppino Impastato. Due atti terroristici e un delitto di mafia, accomunati dallo stesso metodo violento, che assimila mafia e terrorismo ad una radice comune: il disprezzo per la vita e la perdita dell’umanità. Come è giusto, questi eventi sono stati ricordati pubblicamente e solennemente, affinché l’oblio non li ricopra.
Nello stesso anno sono avvenute anche altre cose, di cui meno si è parlato in questi giorni, ma in un certo senso più importanti, perché hanno cambiato in positivo la nostra vita sociale.

Sono tre cose che fanno onore alla Politica (quella con la “P” maiuscola) che ha avuto il buon senso di non abdicare al suo compito, anche in un periodo così oscuro.
C’era un clima pesante, quarant’anni fa. Eppure, proprio in quel lontano 1978, videro la luce tre leggi rivoluzionarie. Oggi le diamo per scontate, ma prima c’era una realtà diversa, che abbiamo dimenticato. Mi riferisco alla legge Basaglia, alla depenalizzazione dell’aborto ed alla riforma sanitaria. Sono tutte nate quell’anno ed hanno inciso positivamente sulla vita civile, cambiando il destino di molte persone. Hanno smantellato i manicomi, sanato la piaga dell’aborto clandestino; lo stato si è fatto carico dell’assistenza sanitaria a tutti i cittadini in quanto tali, non perché assicurati da qualche ente pubblico o privato.
Vuol dire che negli anni di piombo il parlamento, con grande buon senso, continuava a lavorare. Vuol dire che i partiti erano disposti a confrontarsi e discutere. Vuol dire che avevano il buon senso di cercare accordi, che non è detto siano “inciuci”. Vuol dire che essere avversari non significa non parlarsi; avere radici ideali diverse non vuol dire non riconoscersi pari dignità. Un compromesso può anche essere rivoluzionario. O, come diceva Moro, può essere un fatto storico, necessario a rispondere ai nuovi scenari della storia.
Furono tre leggi di grande civiltà, nate nel clima pesante degli anni di piombo, per il prevalere del buon senso nella politica.
Forse, il buon senso non è tutto, ma aiuta.
Soprattutto in politica, il buon senso deve regnare, deve essere l’irrinunciabile bussola che ci mantiene nella giusta rotta. Anche perché, quando manca il buon senso, non è per far posto al lampo di genio o al coraggio innovativo, ma piuttosto all’imbroglio, alla più deteriore demagogia: alla solita, reiterata fregatura.
Tanto, in politica, di geni non ce ne sono e i coraggiosi non sono molti; il buon senso, allora, è il massimo che possiamo e dobbiamo pretendere.
Ma oggi il buon senso, a differenza di quarant’anni fa, scarseggia, anzi latita.

Oggi tutti si preoccupano della formazione del nuovo governo. Senza un governo nel pieno dei suoi poteri rischiamo di perdere terreno in Europa, proprio nel momento che si discute di bilancio (cioè dei concreti impegni dei prossimi anni) e di immigrazione; rischiamo l’aumento dell’IVA, per l’automatismo delle clausole di salvaguardia (grazie, Monti!). Non possiamo esprimere una posizione nelle molte crisi internazionali (cioè contiamo ancor meno del solito).
Eccetera eccetera.

È colpa della legge elettorale? È colpa del referendum che ha affossato le riforme, perché non abbiamo capito? No: la colpa è tutta della mancanza di buon senso. Perché il buon senso ci dice che nessuna legge elettorale può garantire una maggioranza di governo (a meno di premi di maggioranza incostituzionali, che puzzano di legge Acerbo del regime fascista; e comunque non profumano di buonsenso). E che gli accordi sono possibili soltanto se si usa il buonsenso.
Ma pensate se, come piccola riforma istituzionale, si fosse adottata la regoletta di buon senso in vigore in Germania, secondo la quale non si può togliere la fiducia a un governo, se non si dispone di una maggioranza alternativa. E chi avrebbe potuto votare contro, in un referendum confermativo, ad una cosa così di buon senso? Anche perché una così piccola riforma avrebbe portato tre bei risultati, uno meglio dell’altro.

Il primo è, ovviamente, che i governi sarebbero più stabili; una volta ottenuta la fiducia, non c’è più possibilità di sgambetti o ricatti. Le coalizioni, pensate un po’, sarebbero costrette alla coerenza. E i cittadini potrebbero avere più stima della politica.

Il secondo è che durante e dopo le elezioni, nell’attesa di un governo nuovo, quello uscente sarebbe nel pieno dei suoi poteri, finché non si sia costituita una maggioranza alternativa. Non avrebbe il buffo limite del “disbrigo dell’ordinaria amministrazione”. È per questo che la Germania ha potuto permettersi sei mesi di serena attesa per un accordo politico post elettorale: perché – comunque – il governo uscente era sempre nel pieno dei suoi poteri. Anche il nuovo presidente USA si installa qualche mese dopo le elezioni; il presidente uscente, anche se le ha perse (succede in più della metà dei casi), resta nel pieno delle funzioni fino al passaggio del testimone. Non c’è niente di strano: serve a garantire che non ci sia mai un vuoto di potere. La “barca” dello stato non è mai senza un comandante, perché non si sa mai quando scoppia la tempesta. Oltretutto, i partiti avrebbero un interesse concreto a fare in fretta un nuovo governo dopo le elezioni: finché tardano, lasciano l’esecutivo in mano ad altri, e con pieni poteri.

Il terzo risultato è che il governo non potrebbe più “porre la fiducia” per costringere il parlamento ad approvare leggi e riforme: la questione di fiducia non potrebbe essere votata in mancanza di una nuova maggioranza. Da noi non è raro che il governo usi questo mezzo per imporre al parlamento – che dovrebbe essere sovrano – una riforma – che non sarebbe poi di competenza governativa – in barba ad ogni buon senso ed ai principi della costituzione.
E questo fatto è davvero interessante: questa piccola riforma garantirebbe nello stesso tempo la massima stabilità del governo e la massima indipendenza del parlamento. Quel che si dice prendere due piccioni con una fava. Che cosa di buon senso!
Ma, si sa, i geni se ne fregano del buon senso. Perciò questa piccola cosa non è mai stata neanche proposta, neanche sotto forma di promessa elettorale.

Il buon senso vorrebbe, inoltre, che prima di spendere si verificasse che i soldi ci siano. È talmente ovvio che la costituzione prevede, fin dal 1948, l’obbligo della copertura economica di qualunque atto legislativo. Se, con il dovuto buon senso, questa regola fosse stata rispettata, oggi il debito pubblico non sarebbe un problema.
Perciò, qualunque sia la promessa elettorale, un politico dovrebbe dire, con il dovuto buon senso, che questa è subordinata alla realizzazione di quei risparmi che sono sempre nel mondo delle intenzioni e mai della prassi. Dovrebbe premettere alla promessa elettorale: questa cosa avverrà “se e quando” riusciremo a fare quei determinati tagli di spesa, o quei recuperi dell’evasione fiscale.
Se fosse persona di buon senso, direbbe così.

Se non lo dice, non è affidabile: vuol solo prendere voti, caricando le conseguenze economiche sulle nostre spalle. Infatti, un politico che crea debito non sarà mai chiamato a risarcire lo stato. Noi invece sì, in qualche modo pagheremo: sotto forma di tasse (se siamo fortunati), oppure di disoccupazione e di povertà. Comunque, col futuro dei nostri figli. Se l’impunità dei politici vige in tutto il mondo, non è per buon senso, ma per la loro genialità: se governano male, il massimo che rischiano è di non essere rieletti. Noi invece, se eleggiamo una cattiva classe politica, la paghiamo sempre sulla nostra pelle e coi nostri soldi.
Per questo il voto è così importante.
Per questo io preferisco il sistema uninominale. Mi farebbe sapere come si chiama e che faccia ha la persona che ho delegato a fare le leggi e a governare: chi mi rappresenta. Non un nebuloso partito, con i suoi organi evanescenti o incontrollati garanti, ma una persona precisa. Forse, l’essere così ben riconoscibile renderebbe il politico più responsabile: è puro buon senso.
Ma sembra che ci voglia troppo buon senso per comprendere delle cose così chiare; e il sonno della ragione genera i mostri della politica, ma anche il terrorismo e la mafia.

Cesare Pirozzi

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