Olocausto 2.0: Trump gioca a spostare le ambasciate e tra Israele e Palestina scorre altro sangue

Le ultime notizie dalla striscia di Gaza riferiscono di 28 razzi lanciati dal Jihad Islamico, gruppo palestinese di manifestanti, su Israele sud. La maggior parte sono stati identificati grazie all’Iron Drome, sistema missilistico di difesa israeliano, ma uno solo è sfuggito ai radar finendo nel giardino di un asilo nei pressi di Sderot, fortunatamente senza colpire nessuno della scuola. Sono rimasti feriti cinque israeliani, di questi tre sono soldati. “Israele non ha intenzione di lasciar passare quello che è accaduto”, ha dichiarato Avigdor Lieberman, ministro della Difesa israeliano. Il quotidiano “Haaretz” riferisce di autorità egiziane in contatto sia con Israele che con esponenti del Jihad Islamico così da evitare un’escalation di tensione e conflitti.

Trattasi della conseguenza della conseguenza, come del resto tutto nel conflitto tra israeliani e palestinesi: domenica 27 maggio tre uomini, membri del Jihad Islamico, sono stati uccisi da un attacco israeliano ai danni di Hamas, nei pressi della città di Khan Yunis.

Era dalla fine di marzo che non si assisteva a scene simili, nonostante oltre 100 palestinesi siano stati uccisi durante le manifestazioni contro Israele. Non che nulla si fosse arrestato, ma tutti gli scontri sono ripresi con maggior vigore da quando il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha deciso di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. E’ qui che è iniziata la “Marcia del ritorno” palestinese e da qui nuovi feriti, nuovi morti, nuovi muri.

Appena sei mesi prima dello spostamento, l’America ha riconosciuto Gerusalemme come capitale ufficiale di Israele. L’unico paese in tutta la comunità internazionale ad avere accettato questo status quo è il Guatemala. Da anni la città santa è contesa tra autorità israeliane e gruppi palestinesi. A rendere ancora più simbolica la scelta americana è stata la decisione di celebrare il trasloco proprio il 14 maggio, in occasione del 70esimo anniversario dalla nascita dello Stato d’Israele. Il giorno dopo, il 15 maggio, nella cultura palestinese ricorre la Nakba, la “catastrofe”, il giorno della cacciata dalla Palestina.

Curiose le teorie su cui poggia il gesto americano: “E’ un cambiamento che permetterà al processo di pace in Medio Oriente di andare avanti sulla base della realtà piuttosto che della fantasia”. Rimane solo da capire quale sia la realtà e quale la fantasia, in una guerra tra le più impari al mondo, che si combatte dalla fine di un’altra terribile guerra, frutto di concessioni e confini disegnati a tavolino che l’Occidente non poteva non concedere, pena il venir meno dei propri interessi. E allora sarebbe stato un peccato se quel razzo avesse preso un bambino israeliano nella propria scuola ma lo è anche che missili continuano a uccidere uomini sulla striscia di Gaza.

di Irene Tinero