Acquarius è la metafora dell’emergenza immigrazione nel mondo: vite umane in pericolo tra i rimpalli dei potenti (e non)
Quello dell’immigrazione è un mare in cui confluiscono dinamiche tanto diverse da creare un groviglio difficile da risolvere e nel quale si annega.
Acquarius è una imbarcazione utilizzata per soccorrere le persone e metterle in salvo presso il porto più vicino: a quest’ultimo salvataggio, che ha portato sulla nave ben 639 persone, molte di più di quelle permesse, hanno partecipato anche la Guardia Costiera e la Marina Militare italiana. Poi i porti italiani hanno chiuso bottega e lo stesso dicasi per quelli maltesi. Così Acquarius è rimasta in mare, sovraffollata, con risorse insufficienti e senza sapere dove andare. Alla fine è arrivata l’apertura della Spagna, paese che non brilla per accoglienza, e del suo neo premier, Pedro Sanchez, che ha reso disponibile il porto di Valencia: troppo distante per Acquarius e i suoi approvvigionamenti, ma unica via percorribile; condizione questa che mette ulteriormente in pericolo le persone a bordo.
“L’Italia corre rischi legali se a qualcuno dei migranti succede qualcosa”, avvisa il ministro della Giustizia spagnolo, Dolores Delgado. “Forma di cinismo e irresponsabilità”, ha tuonato il francese Emmanuel Macron. Forse eccessivo per il presidente di una nazione che solo alcuni mesi fa ha respinto dalle sue frontiere una donna incinta, malata di cancro. Sempre in Francia c’è stato anche chi ha definito Salvini e la sua politica “vomitevoli”; la sola cugina sempre fedele è l’ormai tramontata Marine Le Pen.
Danilo Toninelli, neo ministro delle Infrastrutture nel governo giallo-verde, ha sintetizzato il tutto nell’espressione: “il pragmatismo che prima non c’era”. Meno diplomatica la risposta di Matteo Salvini: #primagliitaliani.
Ecco forse il problema del neo ministro dell’Interno, nonché vicepresidente del Consiglio, risiede proprio nella comunicazione: la foto con l’hashtag #portichiusi poco si addice a un contesto internazionale; definire “pacchia” quella di 7 donne incinta, diversi ustionati e oltre 100 minori non accompagnati, come successo sull’Acquarius, potrebbe essere una mossa non del tutto vincente (sebbene Salvini abbia detto di essersi riferito a “immigrati clandestini che stanno in albergo a guardare la tv”). Infine, la “Tunisia che esporta galeotti” ha fatto infuriare il presidente Erdogan, rischiando la crisi diplomatica finché la morte di 48 immigrati tunisini al largo delle coste del loro paese ha messo tutto a tacere con il cordoglio da una parte, le condoglianze dall’altra fino all’ennesima corona di fiori da gettare in mare. L’obiettivo comunque, precisa il leader del Carroccio, non è respingere ma limitare le partenze. Un altro “aiutiamoli a casa loro”. Per qualsiasi consiglio o dubbio c’è l’ex ministro Minniti, su qualsiasi rete a qualsiasi ora, che spiega come gestire l’immigrazione: peccato che il noto patto, firmato dal precedente governo, rileghi gli immigrati in veri e propri lager libici.
In tutto questo ci sono le Ong, nell’occhio del ciclone da quando l’anno scorso il procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, ha accesso i riflettori su possibili collegamenti con gli scafisti che dal commercio delle vite umane hanno tutto da guadagnare: sintetizzando, da quando le ong sono molto più controllate e non riescono a salvare vite e recuperare imbarcazioni, molte delle quali si presume lasciate al largo dai trafficanti, la situazione è molto più complicata.
Non siamo il paese in Europa che ospita più immigrati, ma è evidente che i paesi del Mediterraneo, deputati per natura a essere i primi a ospitare ingenti masse di persone, hanno bisogno del coinvolgimento dell’Europa intera per garantire una giusta accoglienza, in primis a chi scappa dalle guerre, ma anche a quanti vengono definiti “migranti economici”. Il Mondo non dovrebbe vedere quasi 700 persone e tutto il personale e volontari coinvolti fermo in mezzo al mare senza nessuno pronto ad aprire una porta.
di Irene Tinero