Bullismo: l’intelligenza non basta

In varie occasioni abbiamo sentito parlare del fenomeno del bullismo, ormai ricorrente, tanto da doverne sottolineare una consistenza inquietante nel nostro Paese. Si moltiplicano ormai gli episodi di aggressioni fisiche da parte di studenti e genitori ai danni dei professori, come il caso della professoressa di Alessandria che è stata legata alla sua sedia, percossa e ripresa con un cellulare, quindi il video è stato postato su Instagram.

Ormai si sa come a scuola il clima di tensione che si respira nei confronti dei soggetti più deboli  sia arrivato a livelli estremi.

Gli studi si sono moltiplicati, sono state messe a punto nuove strategie, nuove tecniche d’intervento, ma purtroppo il fenomeno continua a essere rilevante, complicato oggi dal suo diffondersi attraverso la rete, il cyberbullismo, che, con l’avallo dell’anonimato, costituisce una cassa di risonanza impressionante.

Chi sono i bulli? Quali caratteristiche hanno? Quali sono i fattori che risultano condizionanti: la situazione socio-economica, l’educazione familiare  o le caratteristiche di personalità? Le ricerche in proposito sono di notevole interesse.

Per quanto riguarda la classe sociale, i risultati sono piuttosto controversi: se in alcuni casi si è riscontrato un rapporto tra bullismo e svantaggio sociale, in altri tale rapporto non sembra esistere. Divergenti anche i risultati sul peso delle relazioni familiari e del clima educativo: un’educazione permissiva è stata considerata spesso una concausa del comportamento aggressivo dei figli, ma talvolta invece sono stati indicati responsabili l’eccessiva severità e l’autoritarismo.

Per quanto riguarda le caratteristiche personali, i bulli non hanno in apparenza nulla che li contraddistingua in senso negativo. Le doti comunicative e la capacità di aggregazione, la capacità di stabilire relazioni amicali è nella norma. Le loro capacità intellettive sono alla pari di quelle dei coetanei, qualche volta addirittura superiori alla media e orientate verso il machiavellismo, la tendenza secondo la quale “il fine giustifica i mezzi”. Un unico elemento li penalizza pesantemente, sia nei confronti delle vittime che dei coetanei in genere: il disimpegno morale. Si tratta di quel meccanismo che consente la legittimazione del proprio comportamento prepotente. In ognuno di noi esiste il senso di colpa e l’autoriprovazione, che previene e ostacola il comportamento amorale. Questo sistema va in crisi, si allenta o viene disattivato quando subentrano altri meccanismi psicologici che hanno l’effetto  di neutralizzare le norme etiche. Ossia questi ragazzi non avvertono alcuna risonanza emotiva che consenta loro di “sentire” la differenza tra il bene e il male, tra ciò che è grave e ciò che non lo è, tra corteggiare una ragazza o stuprarla. Se in questi ragazzi s’inceppa questo sentimento, il terribile è già accaduto. Qualcosa di veramente terribile, perché in loro si è spenta, o addirittura non si è mai accesa, quella sensibilità che non ti consente di compiere certi atti così deprecabili.

Il soggetto cambia le carte in tavola per giustificare le sue azioni, ad esempio: “Dare pacche e spinte non è altro che fare giochi un po’ agitati”; il soggetto giustifica il suo comportamento attribuendone la colpa al modo di essere della vittima, ad esempio: “E’ bene maltrattare chi si comporta come un essere schifoso”. Ecco quindi che il ragazzo trova nell’attivazione di alcuni meccanismi di disimpegno morale l’avallo per le sue prepotenze. Nessun senso di colpa dopo aver compiuto un atto aggressivo, anzi la tendenza a ricercare l’approvazione altrui. Tutto ciò porta all’insubordinazione alle norme sociali in soggetti che non si sentono mai se stessi, mai sufficientemente attivi se non quando superano se stessi senza riguardo alcuno, probabilmente senza nessuna percezione del concetto di limite, mai acquisito, perché in famiglia mai nulla è stato loro negato.

L’effetto di questa educazione permissiva, tipica del nostro tempo, che ha contagiato non solo i ragazzi, ma anche i loro genitori e qualche loro insegnante, non consente più di riconoscere il limite tra un atto di esuberanza e una vera aggressione, tra una forma di insubordinazione e un misconoscimento di ogni autorità, tra un comportamento seduttivo e un abuso sessuale. E tutto ciò accade tra la preoccupazione tardiva dei genitori, l’impotenza degli insegnanti e il complessivo disorientamento nella società.

Insomma, l’intelligenza non basta a evitare di cadere in comportamenti riprovevoli, se non è supportata da una coscienza morale e da capacità empatiche.

di Maria De Laurentiis