Tesfom Tesfalidet: ti prego fratello, ti prego aiutami …

“Ti prego fratello, prova a comprendermi, ti prego aiutami…” queste le invocazioni di Tesfom Tesfalidet, nei campi di prigionia in Libia, ai suoi aguzzini. Picchiato, affamato, umiliato, deriso, assetato, emarginato e lasciato sotto il sole cocente della Libia per giorni e giorni, per settimane, per mesi, prima di imbarcarlo su un gommone della morte. I viaggi della speranza, trasformati in inferno e morte dagli scafisti senza scrupoli, aiutati da aguzzini e carcerieri che prendono contributi dall’Italia per ogni “fratello” migrante che tengono in regime di detenzione. L’accordo Minniti, l’ex ministro degli Interni, ora sostituito dal non meno cinico Salvini, che conferma quegli accordi disumani e anzi cerca di costruire nuovi inferni. L’inferno libico lo ha raccontato nelle sue poesie, Segen, il cui vero nome è Tesfom Tesfalidet, morto il giorno dopo aver sbarcato a Pozzallo, pesava 30 chili. Le braccia magre, il viso scavato, gli occhi, senza più lacrime, infossati dal dolore. Segen, in tigrino è un nome di donna, un soprannome per coloro che hanno un collo lungo come uno struzzo, come quelli che si vedono nel villaggio del Mai Mine, devastato dall’ultima guerra con l’Etiopia tra il 1998 e il 2000. Mai Mine, il villaggio da dove era partito Segen. “Ogni uomo è mio fratello/ non ti allarmare fratello mio/ dimmi non sono forse tuo fratello? Perchè non chiedi notizie di me/ è davvero così bello vivere da soli/ se dimentichi tuo fratello al momento del bisogno…” I versi di Segen, sono stati ritrovati scritti in tigrino, su un foglio bagnato e sporco di salsedine, addosso a lui, nell’ospedale di Modica, dove è morto il giorno dopo lo sbarco. Segen, il cui nome era Tesfom Tesfalidet, non ce l’ha fatta, è morto di fame, di stenti, di botte, ma più di tutti lo ha ucciso il dolore. Il dolore per una umanità che non prova dolore. Al momento dello sbarco, non riusciva a camminare e quando il medico degli sbarchi, il dottor Vincenzo Morello lo ha preso in braccio come un figlio, gli ha chiesto perchè era in quelle condizioni, lui ripeteva:Libia, Libia, Libia… Così mentre nostro “fratello” Segen, incontrava un fratello tra le braccia del dottore, poco prima di morire, nel lager libici centinaia di migranti, abbandonati in quegli inferni dalla indifferenza dei governi, passati, presenti e futuri, continuano a morire.

Un pianto senza fine, un dolore lacerante, una condizione disumana, “nessuno mi aiuta e neanche c’è qualcuno che mi consola/ ora non ho nulla perchè in questa vita nulla ho trovato…” Tesfom Tesfalidet è stato ucciso, ad ucciderlo è stata la Libia e gli accordi governativi, passati e presenti. È stato ucciso nel campo di detenzione di Bani-Walid, dove vivevano tutti ammassati, urinavano e facevano i bisogni senza potersi muovere. Le donne venivano violentate ripetutamente, gli uomini picchiati, bastonati, non potevano lavarsi e gli davano da mangiare neanche una volta al giorno in scarse razioni. Tesfalidet è morto per malnutrizione, solo e abbandonato dagli uomini che chiamava fratelli ma fratelli non erano, erano uomini pagati dal governo libico con i soldi italiani. Gli stessi uomini che Segen descrive in alcuni versi “…lontani dalla pace/ presi da Satana/ che non provano pietà o un po’ di pena/ si considerano superiori/ fanno finta di non sentire/ gli piace soltanto apparire agli occhi del mondo”
Segen è morto che pesava trenta chili, di lui ci rimane la denuncia dell’inferno libico e ciò che ne ha scritto “Se porto pazienza non significa che sono sazio/ ma io e te fratello otterremo la vittoria affidandoci a Dio/ Nulla è irraggiungibile/ sia che si ha poco o niente/ tutto si può risolvere/ con la fede/ ciao, ciao. Vittoria agli oppressi.”
Firmato: Tesfom Tesfalidet di Mai Mine

di Claudio Caldarelli

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