Fuori e dentro la prigione di Capareza

Finito il concerto di Fabrica di Roma, 22esima tappa del tour estivo di Caparezza, operai, fonici, autisti iniziano a smontare tutto. C’è una nuova data tra pochi giorni, a Cagliari, e poi le ultime a Ravenna, Prato, Spoleto e Treviso. “Il mio team è una cinquantina di persone, stavolta erano ben di più. Operai, tecnici, addetti alla mensa, chi ha montato e smontato i 7 bilici di questo mio tour. Mi sono sentito responsabilizzato, volevo parlare di lavoro e in Italia non se ne parla mai”.
Nel dvd allegato all’album Prisoner 709 live, in uscita il 7 settembre, Caparezza parla di chi lavora dietro le quinte, al buio dei riflettori, per realizzare quello che secondo lui è “il mio tour più bello di sempre”. E il concerto di Fabrica di Roma rende merito alle aspettative. Il salto di qualità del Festival della Birra del paese viterbese (poco più di 8.000 abitanti, 60km a nord di Roma) è tutto nel live di apertura, che ha registrato oltre 3.000 presenze, di una rassegna che ospiterà anche J-Ax, Gue Pequeno, Willie Peyote e The Zen Circus.
Un vero e proprio spettacolo musicale, con coreografie coinvolgenti, cambi di vestito, effetti artistici. Cuore della scaletta è ovviamente l’album Prisoner 709, quello della crisi personale, dell’ingabbiamento all’interno della propria dimensione artistica e mentale. Alla nascita di questa riflessione ha contribuito l’acufene, disturbo acustico che ha colpito il cantante nel 2015, protagonista del singolo Larsen: “Il fischio nelle orecchie lo avevo da anni, ma era sopportabile. D’improvviso è diventato una tortura, probabilmente a causa dell’abuso dei volumi. Il problema è che non ha cure vere, tanti dicono di poterla battere, ma non ci riesce nessuno. Ma intanto mi ero chiesto, un classico, perché proprio a me che avevo concentrato l’esistenza sulla musica. Questo mi ha portato a riflettere e a scrivere, a domandarmi se sono un artista libero o prigioniero del ruolo, perché ho fatto musica e non altro, se era destino fare dischi o se era solo un equivoco. Ed ecco l’album”.
Il live di Caparezza è un viaggio tra sonorità rock e melodie rap, tra testi impegnati, nonostante “sono l’evaso / del ruolo ingabbiato / di artista engangè”, e riferimenti culturali, mentre lo show di luci, fiamme e proiezioni continua. “La mia dimensione vera è proprio il concerto. Anzi, senza i live forse preferirei solo scriverle le canzoni, e poi lasciarle cantare a un altro”.
L’unica che avrebbe potuto e dovuto cantare solo lui è Una chiave, in cui Caparezza parla al sé stesso bambino, lo sprona ad andare avanti, a superare le difficoltà che, oggi come allora, sente addosso: “No, non è vero / che non sei capace / che non c’è una chiave”.
Tra pezzi di Museica e il Sogno Eretico, tracce storiche come Vieni a ballare in Puglia e La mia parte intollerante, dopo aver regalato ai fans Fuori dal tunnel, “la canzone che mi ha permesso di fare ciò che amo”, il cantante di Molfetta chiude come solo lui sa fare. Sullo sfondo scorrono le immagini de La ronda dei carcerati, dipinto di Vincent van Gogh e Caparezza inizia a spiegarlo. I colori, le posture, i tre borghesi da una parte, i prigionieri privi di tono e volto. “Van Gogh era libero perché nella sua vita ha dipinto 900 quadri ma ne ha venduto solo uno. Ha continuato a dipingere, nulla poteva fermarlo anche quando lo hanno rinchiuso perché malato. Van Gogh nel quadro è l’unico senza cappello, con un piede fuori dalla fila, è l’unico uomo libero perché capisce, e decide di spezzare il cerchio”.

di Lamberto Rinaldi

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