Il serpente e il serparo

E’ il primo maggio e a Cocullo, in Abruzzo, si celebra la Festa dei Serpari, in onore di San Domenico Abate. Le leggende sul Santo si susseguono: protettore e guaritore dai morsi velenosi dei serpenti, lasciò agli abitanti del paese due reliquie (un ferro di cavallo della sua mula e un molare), per poi ripredere il suo cammino da pellegrino.

Con l’espansione del cristianesimo e la conseguente imposizione su antichi riti pagani, la Festa dei Serparisi tramutò in una celebrazione cristiana. Il culto pagano alla Dea Angizia, venerata dagli antichi marsi che abitarono questo territorio, venne in gran parte dimenticato con il passare del tempo.

Il momento più atteso della Festa dei Serpariè la comparsa della statua di San Domenico Abate, poi condotta in processione per le vie del paese con addosso alcuni esemplari di Elaphe quatuorlineata, nomenclatura scientifica del noto cervone (un serpente appartenente alla famiglia dei colubridi). Si aggiunge la presenza del saettone (Zamenis longissimus), del biacco (Hierophis viridiflavus) e della biscia dal collare (Natrix natrix); specie prive di veleno catturate nelle ultime settimane d’aprile dagli esperti serpari. Armando Proietti è considerato una vera e propria autorità in materia. «Una ricerca difficile, tanto da tornare il più delle volte a casa a mani vuote», racconta. Una tradizione mai perduta e spesso tramandata da maestro ad allievo, con la speranza di quest’ultimo di conseguire la popolarità dei più esperti. «Il serparo moderno non è altro che l’evoluzione della figura del guerriero marso che un tempo praticava tale attività per la Dea Angizia», spiega Antonella Gotto, guida turistica del posto.

Nel limite massimo di una settimana dal finire della celebrazione i serpenti saranno rilasciati nel loro habitat naturale, non prima di essere stati curati (nel caso ce ne fosse bisogno), classificati e censiti per la loro tutela e conservazione. Un progetto che lega gli stessi serpari a erpetologi e veterinari.

Testo e Foto di Fabio Conti

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