Montecristo: l’armonia della neve

Montecristo, tra Fonte Cerreto e Campo Imperatore, una montagna del Gran Sasso d’Italia, alta 1921 m. s.l.m., in provincia dell’Aquila, una volta era una stazione sciistica con impianti di risalita lungo le pendici del monte. Ora chiuse. Abbandonate al gelo e alle intemperie, assomigliano a arterie incrostate e artritiche di uno corpo in decomposizione. Gli impianti fermi dal 2001 testimoniano l’incuria è il disamore degli amministratori per il rispetto di uno degli ambienti più affascinanti del Gran Sasso.

Montecristo non è la storia di un recluso, scritta da Dumas e magistralmente interpretata da Depardieu, ma un luogo incantato dalla magia della neve modellata dal vento. Un luogo dove i fiori sbocciano sotto la neve, si colorano di giallo e di viola e profumo. Profumano così intensamente, che, mi dice Sergio, ascolta il silenzio che profuma di “stella del mattino”, così chiamiamo il Bucaneve. Le pendici armoniose disegnano scenari da sogno in modo minimale e pulito senza fronzoli o fastidì di rocce sconnesse o alberi abbattuti. Solo fiori, i fiori di febbraio, ma anche le viole della neve. Montecristo è una testa calva rasata a zero, senza pelurie ma liscia, morbida ed elegante, accarezzata dai fiocchi di neve che cadono in abbondanza adagiandosi sensualmente sui fianchi copiosi e sul ventre materno, depilato completamente fino all’inguine della valle sottostante. Su questo monte, così armonicamente tondeggiante, esplode la follia collettiva, destinata ad esaurirsi con l’arrivo del freddo.

Sono contento, di esserci stato, con Sergio, quel tanto che basta per dire: noi c’eravamo. In momenti diversi, vicini nel tempo, ma inestricabilmente legati, alle prese con l’intuizione del nostro futuro linguaggio che accoglie il soffio del vento, il silenzio della neve e il rumore di sottofondo dei vecchi impianti di risalita abbandonati e arrugginiti che muggiscono doloranti al passaggio delle nostre ciaspole. Li, sotto quelle orme, la fragranza dei petali abbracciati ai cristalli di ghiaccio ci accarezza il cuore e riporta in vita la ruggine dei cavi d’acciaio. Sergio mi insegna le movenze del contrappunto che si rincorrono su spartiti diversi ma con un unico linguaggio orchestrale nato dalla “via della neve che cade con amore”. Parallelamente un immenso panorama coglie gli slanci ma anche momenti di intimità aprendo un intenso diario privato dove, tra ricordi e riflessioni, trova sfogo il percorso che nasce quando le esigenze di vita prendono il sopravvento e ci inducono al cambiamento radicale del nostro agire. Il nostro agire, sboccia sotto la neve, a offrire la bellezza invernale, sorride Sergio nel mimare i veri gioielli che la natura ci dona senza la paura del freddo. L’inverno ferma la vegetazione, ma qui al Monte, aspetta l’inverno per fiorire sotto la neve. Così la Viola del pensiero riesce a sbocciare dopo una nevicata. Montecristo, montagna sciamanica, si lascia camminare esponendoci in egual misura al fascino di nuove conoscenze e alla speranza che possiamo comprendere il suo linguaggio. Un linguaggio dei fiori d’inverno, il Crocco che parla al Narciso trombone così elegante in mezzo alla neve, accarezzato dalle margheritine gialle che prepotentemente si fanno largo tra i ghiaccioli appesi ai rametti di Helleborus che morirebbero senza il manto nevoso.

Sergio ascolta, riflette, medita, tra un passo sinfonico è un respiro armonico, sussurrando che la forza di cambiare non richiede coraggio, ma umiltà di accettare la costante della propria insicurezza, nella luminosità del mondo filosofico, li si trova nuovamente il coraggio di abbandonare il pensiero razionale per cercare quel l’attimo infinito in cui solo la neve, i fiocchi di neve, possono catturare una visione magica e misteriosa dell’esistenza. Riprendiamo a camminare, delicatamente, per non calpestare i fiori, che sotto la neve vivono, sbocciano, si impollinano per sbocciare ancora. Sergio si lascia andare ad una riflessione: allorché abbandoni la tua personalità, vedendo il Bucaneve, tu diventi il Bucaneve. Non la vedi dall’esterno, è ricoperto di neve, ma lo senti nel suo essere. I suoi petali sono tuoi, il suo profumo è il tuo profumo. Non sei più colui che guarda il Bucaneve, tu sei il Bucaneve. Sei speranza e sei consolazione. Sei febbraio e sei il fiore di febbraio, sei il passaggio dal dolore a un nuovo inizio per via dello sbocciare quando il clima è freddo, ma essendo tu il freddo, ma anche il Bucaneve, spingi verso l’alto, attraverso il suolo ghiacciato, diffondendo un dolce profumo, simile a quello del miele. Così ti trasformi nella campana della Candelora. Ascolto, rifletto, le ciaspole scivolano sulla neve di Montecristo, stiamo scendendo a valle, Sergio mi guarda negli occhi, lo guardo, leggo: diventa l’orizzonte, a volte sii profondamente radicato alla terra, altre volte vola alto nel cielo: piano piano diventerai l’orizzonte in cui quegli estremi si incontrano.

di Claudio Caldarelli

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