I problemi dell’Africa meritano un dibattito più serio

Negli ultimi giorni i rapporti tra Italia e Francia hanno raggiunto livelli di scontro mai visti da quando ha avuto inizio il lungo percorso d’integrazione europea. La tensione è salita al punto da spingere il governo francese a ritirare il proprio ambasciatore a Roma. A scatenare le reazioni francesi sono state una serie di dichiarazioni da parte di esponenti delle forze che sostengono il governo Conte. In particolare, il viceministro Di Maio ha dapprima criticato la Francia con la tesi di sostenere politiche neocolonialiste ai danni degli africani attraverso il Franco CFA, moneta in circolazione in diversi stati dell’Africa sub sahariana. Qualche giorno più tardi, sempre Di Maio ha poi incontrato in Francia alcuni esponenti dell’ala più estremista dei Gilet Gialli, spingendo Macron a prendere posizione. Ora si aspettano possibili ritorsioni economiche da parte del governo d’oltralpe, che potrebbe impugnare alcuni dossier di estrema importanza per l’Italia, come Alitalia o Fincantieri.

La posizione italiana si può spiegare solo con una visione propagandistica, per distogliere, cioè, l’attenzione dai problemi interni e creare un nemico agli occhi degli elettori in vista delle complicate elezioni europee. Il 20 gennaio Di Maio ha dichiarato che avrebbe inviato la nave Sea Watch carica di migranti a Marsiglia, perché la Francia, attraverso il Franco coloniale, finanzierebbe il suo debito pubblico costringendo gli africani ad emigrare. Le parole del Ministro sono prova di una scarsa considerazione per le effettive cause del fenomeno migratorio africano, che sono molteplici. L’analisi dei flussi migratori che dal continente africano arrivano in Europa, mostra come i paesi da cui partono il maggior numero di persone, Sudan, Etiopia e Nigeria,sono stati che non fanno parte dell’unione monetaria che adotta il Franco CFA.

Creato il 26 dicembre del 1945 in conseguenza degli accordi di Bretton Woods, il Franco CFA (dapprima Franco delle Colonie Francesi in Africa, oggi Franco della Comunità Finanziaria Africana) è la moneta adottata in 14 paesi, per la maggior parte ex-colonie francesi.  Ha un tasso di cambio fisso essendo il suo valore indicizzato a quello dell’euro, mentre in passato lo era a quello del Franco. La posizione poco difendibile del governo italiano, però, non deve tradursi automaticamente con una difesa della struttura e delle caratteristiche della moneta. L’economista senegalese Demba Moussa Dembélé, tra gli altri, lo considera un freno allo sviluppo per i paesi che lo utilizzano. I difensori del Franco CFA sostengono che abbia portato stabilità, Dembélé critica, invece, proprio questo aspetto. La priorità della Bce di combattere l’inflazione si riversa di conseguenza anche sulla Banca Centrale degli Stati dell’Africa Occidentale. Ciò comporta meno disponibilità di credito per le imprese locali che hanno necessità di denaro per svilupparsi. Inoltre, una moneta forte non aiuta le esportazioni di quei paesi. L’economista togolese Kako Nubukpo parla di ‘sudditanza volontaria’ e le sue feroci critiche all’unione monetaria gli sono costate il posto da Ministro delle politiche pubbliche in Togo.

Il modo in cui i paesi europei stanno affrontando questa questione ci svela quanto siano deboli le intenzioni di affrontare alla radice la questione migratoria, che in tutti i suoi aspetti appare come un fenomeno di lungo periodo. D’altra parte è un segnale di come l’Europa continui in larga parte ad adottare in Africa politiche ad una direzione, cioè con l’obiettivo di mantenere stabile la propria influenza. Questo spiega anche il successo dei nuovi competitori come Cina e India che hanno dimostrato maggiore pragmatismo e lungimiranza nelle relazioni commerciali con l’Africa.

di Pierfrancesco Zinilli

Print Friendly, PDF & Email