Davide: la montagna più alta è dentro di noi

Un inno al silenzio, alla natura, alla vita e alla montagna. Questo è Davide Peluzzi per me. Lo descrivo così, con semplici parole che vengono dal cuore: un inno alla montagna. Si, Davide è un inno con il suo passo lento ma perseverante, che equivale a gesti piccoli ma concreti, ripetuti nella vita di tutti i giorni. Riesce a dare un senso compiuto alla montagna.

Camminare con lui è percorrere sentieri preziosi, ed è sempre diverso ogni volta. Davide rispetta la Fonte Vecchia, le due incisioni primitive su pietra. Ne ama l’acqua che ci scorre dove ogni volta si disseta, con rispetto, congiungendo le mani prima di bere e dopo aver bevuto, in segno di ringraziamento. Davide mi parla delle rocce, ne ascolta la voce, le sfiora e poi mi racconta. Così è per il monolite delle Lame, una roccia cosmica, viva, che si innalza, tra gli alberi, nel cielo, respirando. Non è follia, è simbiosi con l’elemento naturale di cui siamo composti. Davide è roccia, roccia che si copre di muschio, fiorisce e ascolta e aspetta e ti guarda.

Il monolite delle Lame, un abbraccio dolce e severo, la fatica del sentiero, la magia del bosco, che si fondono con Davide nell’attimo del suo passargli accanto, affamato di desiderio che lo trasforma in uomo alla perenne ricerca del senso.  Con Davide, l’amore e l’amicizia e l’amicizia è l’amore per la montagna e tutti i suoi organismi e microorganismi. Quando gli dico : “Davide penso che siamo creature destinate al piano orizzontale, a vivere con i piedi per terra”. Lui mi risponde: “È vero ma aspiriamo ad elevarci. Da spettatori terragni quali siamo, diventiamo “montagni” ed allora ci è dato raggiungere gli dèi. Alcuni di noi lo fanno con l’arte, altri con la religione, noi lo facciamo con l’amore. L’amore per la montagna e per le sue genti”. Questo mi dice Davide, mentre ci fermiamo a fare il saluto del sole al monolite delle Lame. Ma se è vero che possiamo elevarci, allo stesso modo possiamo precipitare e gli atterraggi non sono morbidi.

C’è un modo, dice Davide, per evitare di precipitare, cioè camminare umilmente nel rispetto dell’ambiente circostante e della montagna che dall’alto ci protegge perché siamo la sua impronta. Questo sentiero, come tutti i sentieri sono le consuetudini di un paesaggio. Sono atti di creazione consensuale fatti con l’amore che sentiamo nel cuore. È difficile realizzare un sentiero da soli, ci abbiamo provato con il Bonatti, partendo dal Favacchiolo poi su verso monte Cardeto. Poi il Corvo, Campo Imperatore fino a S. Stefano di Sesanio. Tre giorni durissimi, che solo tu potevi fare è solo tu potevi riuscirci. Ma all’inizio no era un sentiero, ma passandoci e ripassandoci a piedi diverse volte lo è diventato.

Prima era solo un’ impronta, la tua impronta e non portava da nessuna parte. Ma impronta dopo impronta, ogni passo un respiro. Ogni respiro un battito. Ogni battito un passo e così via per giorni e mesi. Un sentiero che ora esiste, il sentiero Bonatti, nato dall’amore e dal rispetto per un luogo che è il tuo grembo materno. La tua essenza trasformata in roccia, dolce e tenera ma tenace, come solo le persone come te possono essere. Un monolite delle Lame.

di Claudio Caldarelli