GRETINI E CRETINI

Negli anni scorsi, non pochi erano scettici sulle prospettive di riscaldamento globale del pianeta, e sulla sua correlazione con l’aumento della CO2atmosferica e, quindi, con il nostro stile di vita. Il discorso, forse troppo tecnico, lasciava perplesse ed incredule parecchie persone.

In ogni caso, avevo l’impressione che i più preoccupati per il problema ambientale simpatizzassero per l’area politica di sinistra, mentre quelli che tendevano a negarlo o minimizzarlo propendessero per la destra.

Con buona pace, ovviamente, degli ingenui che credono che destra e sinistra non esistano più; anche se, a ben guardare, sembrano omogeneizzate nel non far nulla, o quasi, per l’ambiente.

È significativo, a tal proposito, l’atteggiamento dei giornali rispetto alle manifestazioni dei seguaci di Greta Thunberg. Quelli più vicini alla destra li chiamano “gretini”, e li trattano con sarcasmo e sufficienza; gli altri tendono a riconoscere le ragioni e l’importanza di un movimento che, comunque, altro non rivendica che un innegabile diritto al futuro, messo oggi in forse dal cambiamento climatico.

In USA, il democratico Al Gore, sconfitto dal repubblicano George Bush alle presidenziali del 2000, già nel 2006 aveva ispirato un documentario ambientalista (“Una scomoda verità”), in cui illustrava con puntuale documentazione scientifica il gravissimo problema, e denunciava l’indifferenza della politica. È, idealmente, il padre, se non il nonno, di Greta; la sua voce è stata poco ascoltata, nonostante il Nobel conferitogli nel 2007. Per contro, tutte le amministrazioni repubblicane hanno tendenzialmente osteggiato lo sforzo di ridurre le emissioni, fino ad arrivare all’incredibile atteggiamento negazionista di Trump.

D’altronde, mi sembrava naturale che il capitale fosse più interessato ai profitti che alle ricadute ambientali dell’attività industriale e dell’uso dei combustibili fossili, e quindi tendesse a svalutare le istanze ambientaliste.

Per questi miei pregiudizi, sono stato davvero sorpreso dal fatto che, invece, anche il mondo dell’economia sta studiando con preoccupata attenzione il fenomeno del riscaldamento globale. Non mi sembrava possibile che potesse diventare oggettivamente alleato di Greta, dei suoi seguaci e dei movimenti ambientalisti. Eppure è così.

Recenti studi, infatti, dimostrano che molte banche sono destinate al fallimento a causa del cambiamento climatico, e che il PIL mondiale si ridurrà drasticamente nei prossimi decenni. Giustamente, ci si preoccupa che, in prospettiva, la ricchezza diminuirà nettamente e che, forse, i soldi finiranno col servire a poco o niente. Ci si accorge, finalmente, che la difesa dell’ambiente non è nemica della ricchezza: anzi, che è vero il contrario.

Già: anche la finanza comincia a capire.

Per l’Italia, in particolare, è attesa una riduzione dell’8,5% del PIL entro la metà del secolo, a prescindere da chi sarà al governo e in barba a qualunque istanza sovranista o populista. E la metà del secolo non è lontana: è quando saranno adulti i bambini di oggi.

Non è poi tanto strano che la nostra economia dipenda dal clima: è persino ovvio che l’agricoltura ne risenta, e che il turismo sia destinato a declinare in un territorio devastato da fenomeni meteorologici sempre più estremi, senza più spiagge, ma con molte più alluvioni, trombe d’aria, grandinate e nubifragi. Tra l’altro, senza più Venezia. Mentre la spesa per far fronte ai danni del cambiamento climatico divorerà una fetta sempre più grande del bilancio dello stato.

Insomma, è assolutamente certo che saremo tutti molto più poveri nei prossimi decenni. E, giustamente, anche i ricchi – o almeno gli economisti – si allarmano.

Ancor peggio andranno le cose per il sud del mondo, minacciato dalla desertificazione, dalla siccità e dalla carestia. Altro non potranno fare, quelle popolazioni, che migrare, riversandosi in massa nei Paesi dove ancora ci sarà un po’ da bere e da mangiare, senza minimamente preoccuparsi di avere o no diritto d’asilo.

Oggi, fortunatamente, quasi tutti sono consapevoli del problema, fatta eccezione di qualche direttore di giornale, che dà del ”gretino” a chi, in realtà, capisce meglio di lui.

Ma ancora non basta perché, purtroppo, la classe politica, nel suo insieme, è del tutto indifferente al problema. Pronta a polemizzare su variazioni di PIL dello “zero virgola”, non si preoccupa della variazione dell’8,5. Pronta a stanziare miliardi per il territorio disastrato, ben si guarda dall’affrontarne le cause. E, comunque, non esita a dare una spintarella verso il baratro, se questo può farle ottenere un voto in più.

È una strana forma di malattia, che colpisce i politici e contagia la maggior parte degli elettori in occasione del voto. È una sorta di Alzheimer pandemico, che ci inebetisce e ci porta a votare per chiunque prometta rimpatri e condoni, piuttosto che far qualcosa per il problema più grave.

O forse mi sbaglio: siamo tutti troppo indifferenti, e meritiamo i guai che ne conseguiranno. Forse siamo tutti troppo cretini, per essere davvero “gretini”.

Nel frattempo, le ultime piogge hanno portato via con sé qualche cavalcavia ed un altro pezzetto di PIL e di futuro.

di Cesare Pirozzi