Sissi: suicidio impossibile. Il padre promette battaglia contro la Procura

La Procura di Venezia non ha dubbi: nessuno sparò all’agente di polizia penitenziaria Maria Teresa Trovato Mazza, detta Sissi, di 28 anni, trovata in fin di vita il giorno 1 novembre 2016 all’interno di un ascensore dell’Ospedale Santi Giovanni e Paolo a causa di un colpo di pistola partito dalla sua arma di ordinanza. Proprio questo particolare, da subito, ha indotto gli inquirenti a parlare di un tentativo di suicidio che, per ben due anni ha tenuto la giovane donna tra la vita e la morte. Sissi è poi deceduta il 12 gennaio scorso ma i familiari non hanno mai creduto che volesse togliersi la vita. Per questo si erano opposti alla prima richiesta di archiviazione dell’inchiesta per istigazione al suicidio presentata dal pm Elisabetta Spigarelli. Il gip aveva ordinato quindi nuovi accertamenti ma ora, a tre anni da quel colpo di pistola, il procuratore Bruno Cherchi si dice convinto che non ci siano ombre nella morte della donna.

Il padre, Salvatore Trovato Mazza, continua a non credere a questa versione e annuncia che la sua battaglia per la verità continuerà ad oltranza. Anzi, il legale della famiglia presenterà una nuova impugnazione al gip. Ed il padre di Sissi, in un’intervista utilizza parole forti ed incisive: “La verità è ovvio, non doveva e non deve venire fuori. In tre anni non hanno mai voluto parlare con chi voleva denunciare gli illeciti interni al carcere della Giudecca. In ogni caso è vergognoso, non ci hanno mai comunicato nulla – sostiene il genitore – non ci hanno mai ricevuto e hanno portato avanti questa assurda tesi. Non abbiamo mai avuto una risposta su nessun punto, non è mai stato aperto un dialogo con una mamma e un papà che volevano solo sapere cosa fosse successo alla loro figlia”. Salvatore adombra foschi scenari sul carcere veneziano e su ciò che accadeva al suo interno, sembra infatti che Sissi avesse più volte raccontato in diverse lettere e con gli avvocati, ciò che sapeva, ciò a cui aveva assistito. Aveva esposto la sua verità. Fatti che evidentemente non dovevano essere divulgati.

Dunque la famiglia promette battaglia e respinge l’archiviazione del caso, il padre continua a dare sfogo ancora e per sempre al suo dolore: “Nessuna impronta sulla pistola o sangue, serve una superperizia ma per la Procura il caso è chiuso, l’hanno scritto già due volte. Lo Stato che mia figlia serviva, non vuole dirmi com’è morta la mia bambina”.

Ma chi era Maria Teresa Trovato Mazza, detta Sissi? Era una giovane donna di 28 anni, atleta e poliziotta penitenziaria di origini calabresi, cresciuta nell’esercito, prestava servizio nel carcere femminile della Giudecca quando il 1 novembre 2016 è stata trovata riversa a terra in un ascensore dell’ospedale Civile di Venezia, con la testa devastata da un proiettile calibro 9. Quel giorno, l’agente Trovato Mazza, doveva controllare una detenuta che aveva partorito ed era ricoverata nel reparto di pediatria dell’ospedale veneziano. Le immagini delle telecamere di sorveglianza la riprendono mentre si trattiene nei pressi delle scale come se stesse aspettando qualcuno. Si dirige verso l’ascensore, un punto non coperto dal raggio della telecamera, dove succede tutto in pochi istanti.

Due minuti di buio, poi il corpo viene trovato da una passante.

Qualche giorno fa l’avvocato dei Trovato Mazza, Girolamo Albanese, ha depositato una seconda opposizione chiedendo alla magistratura di scavare più a fondo: la speranza è che il giudice ordini una superperizia. Perché, se di suicidio si è trattato, quello dell’agente Sissi sembra un suicidio impossibile. Il foro di entrata del proiettile si trova in un punto anomalo del capo, più vicino alla nuca che alla tempia, non proprio la zona scelta da chi si punta una pistola alla testa.

E l’arma che ha sparato, la Beretta d’ordinanza, viene ritrovata completamente priva di impronte digitali e ancora in mano alla poliziotta, nonostante il rinculo e le gravissimi lesioni provocate dal proiettile rendessero quasi impossibile trattenerla. C’è poi il dato più pesante: l’assenza di tracce ematiche sulla punta della pistola, “un evento insolito” anche secondo la Procura, considerato che il sangue viene riscontrato “nel 75% dei casi” di colpi sparati a contatto o a bruciapelo.

Secondo i consulenti di parte sarebbero immacolati anche il polsino e la manica destra di Sissi, che rientrano in quella zona che gli esperti chiamano di “back-spatter”, dove dovrebbero depositarsi le gocce di sangue e i frammenti provocati dall’entrata del proiettile.

Una contraddizione insuperabile rispetto alla tesi del suicidio.

Cos’è successo dunque all’agente Trovato Mazza? Resta un giallo. Anche perché le indagini presentano lacune irreparabili, come la decisione dei medici legali di non sbendare la testa per verificare la lesione e di rimandare l’esame a un mese dopo, quando ormai sulla poliziotta era stato eseguito un invasivo intervento neurochirurgico.

Una morte sulla quale è stato eretto un muro di omertà, di verità taciute, di indagini eseguite con superficialità. E dietro la morte di questa ragazza che aveva energie, entusiasmi, sogni e tante speranze per il futuro si fonde in un abbraccio, il testardo amore di un padre che vuole solo la verità. Solo la verità per rivendicare quella giustizia che noi tutti aneliamo affinché la sua perdita, dolorosa e difficile da sopportare, possa in qualche modo essere alleggerita dalla realtà dei fatti e dall’auspicio di vedere in galera i veri assassini.

Quella di Sissi è semplicemente la storia di una morte annunciata e di un padre che mai si arrenderà fino all’ultimo dei suoi giorni, in un amore che speriamo possa superare gli ostacoli di una terribile verità. Come tutte quelle realtà che “devono” morire così, con un’archiviazione di fatto e di coscienza.

di Stefania Lastoria

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