Il mondo come muro e paura

La genesi del celebre disco dei Pink Floyd The Wall, del 1979, è la paura. Pink, il protagonista, rockstar immaginaria, che fa da filo condutture di tutti i brani, inizialmente il muro non lo vuole abbattere. Anzi: se lo costruisce intorno. Per difendersi. Dai sadici insegnanti della sua scuola. Dalla morte del padre in guerra che lo ha lasciato senza difese dai mali del mondo. Dai tradimenti della moglie che lo espongono nudo al dolore esistenziale. Tutti aspetti realmente biografici della vita di Roger Waters. Soprattutto l’idea del disco era nata da uno scontro reale avvenuto con dei fans sotto il palco durante un concerto nel 1977 allo Stadio Olimpico di Montréal. Waters immaginò davvero un muro di separazione, a scopo difensivo, tra il gruppo e il pubblico. Da questa vera e propria fissa, fobia scaturisce l’intero concept, impianto narrativo e musicale, di uno dei più grandi successi pop-rock mondiali. Il disco esce nel novembre 1979, esattamente dieci anni prima della Caduta del Muro di Berlino. Solo alla fine di tutto il disco, dopo un laborioso processo interiore, Pink conclude che è giusto abbattere il muro e aprirsi al mondo.

E nel il film del 1982 di Alan Parker, Pink Floyd The Wall, questo aspetto dell’abbattimento del muro contro ogni potere diventa il significato esclusivo di tutti concerti che sono in realtà grandiosi spettacoli, fino a quello del 2015, che diviene anche il film Roger Water The Wall. La musica si unisce all’immagine, al cinema. Insieme fanno compiere a Roger Waters il tragitto dalla paura, al muro, al suo crollo liberatorio. La paura da cui è partito il musicista non è certo un fatto meramente individuale. La paura è l’origine stessa della nostra civiltà. Aristotele dice che la filosofia nasce da thâuma. Questa è parola del greco antico polisemica, con molti significati, e dunque controversa. Essa sta per stupore, meraviglia. Il punto vero, però, è: stupore, meraviglia per cosa? Emanuele Severino, uno dei nostri grandi filosofi viventi, sostiene che si tratti di vero e proprio terrore, paura della morte, del dolore, dell’infelicità. Thâuma, originariamente, deriva dal nome del gigante Taumante, divinità demoniaca ctonia, della sfera sotterranea, terrorizzante nella sua oscurità e imperscrutabilità. Il muro dunque corre sul filo della paura, percorre tutta l’umana storia e civiltà.

La musica e l’immagine, sono quegli elementi impalpabili che sanno scavalcare i muri in maniera immateriale. Immateriale perché immateriale è anche la paura. La sfida autentica avviene nel sottosuolo. Il mostro ctonio, il thâumaviene guardato in faccia lì sotto, ossia prima che esso appaia nel corso della storia come concrezione materiale, prima che diventi muro, proliferazione muraria. Forse, però, il vero mostro ctonio, sotterraneo non è neanche la Paura, ma il Tempo. La Paura scaturisce dal Tempo. Il Tempo ci trascende nella sua imprevedibile mutevolezza. Come il tempo atmosferico può scatenarci addosso bufere, tempeste, nubifragi, e noi non possiamo fare nulla per impedirle, ma solo al massimo prevederle, così il tempo cronologico è ciò che si abbatte sull’umano senza che questo possa imbrigliarlo, dominarlo. Anche qui al massimo, ma con ancora maggiore approssimazione, solo previsioni del tempo. Previsioni che nella storia spesso si sono dimostrate più catastrofiche degli stessi eventi poi realmente accaduti, avendone accentuato anticipatamente le conseguenze.

La filosofia stessa – si potrebbe dire – dalle sue origini, ossia dalla prima ontologia e metafisica greca, si erge come un muro contro la paura del Tempo. Come muri in tale senso lo erano stati e lo sono ancora miti e religioni. Solo che la filosofia voleva essere qualcosa di superiore. Una scienza, una scienza dell’essere, di tutto ciò che esiste: questo significa ontologia, ossia scienza dell’essere. Un muro sì contro il terrore, ma fatto di mattoni razionali, di pensiero critico. Ogni successivo mattone prima di essere posto doveva essere verificato nella sua stabilità, solidità razionale. Proprio dal percorso della filosofia dalle origini a oggi potremmo affermare, invece, che nel concetto stesso di muro è implicito quello di crollo. Quante volte la filosofia ha dovuto buttare giù la complessa, massiccia architettura dei suoi muri. Celebre la tabula rasa che fa Cartesio, revocando completamente in dubbio tutto il precedente edificio di pensiero con il suo semplice, radicale Cogito ergo sum. E oggi è la filosofia stessa che ha rinunciato da tempo a ergersi come muro, come difesa, opposizione di verità assolute alle minacce oscure, imperscrutabili nascoste nel sottosuolo del nostro presente, pronte a configurarsi già domani come pericoli letali, forieri di conflitti, catastrofi, miseria.

Oggi la tecno-scienza, ossia il sapere scientifico e le sue applicazioni tecnologiche hanno preso il posto della filosofia. Perché i suoi mattoni sono posti sulla scorta di meticolosi, sempre più sofisticati calcoli matematici, teorie complesse e incontrovertibili riscontri sperimentali. Un muro costruito, però, con all’interno il principio del suo continuo crollo, perché la verità, anzi leverità, la scienza non le scopre ma le determina via via nel suo stesso procedere in avanti. Se esistesse una verità universale assoluta, divina o cosmica che si voglia, la scienza sarebbe solo un suo mezzo, un suo strumento. Ma oggi la scienza è assurta alla pretesa di essere essa lo scopo, non il mezzo, il cui pieno avvento può portare a soluzione i grandi problemi planetari. Una super-filosofia, o super-religione, che supera anche la politica, la democrazia, essendo quest’ultime una derivazione proprio del pensiero filosofico. Le verità che essa via via acquisisce e concretizza in applicazioni tecnologiche sempre più avanzate, come strumenti, scale per arrivare a nuove altrettanto provvisorie verità. Un muro che crollando si erige sempre nuovo, ed erigendosi deve far crollare alcuni suoi vecchi pezzi. Questo muro, inoltre, contiene dentro di sé anche l’aspetto del terrore. Ci sono, infatti, branche della scienza come quella delle armi atomiche, ma anche dell’ingegneria, della clonazione genetica, che continuano a generare paura.

E che la paura della morte, del tempo continui a correre sul filo della storia lo dimostra la persistenza e proliferazione dei muri in tutto il pianeta dopo la caduta di quello di Berlino. Oggi nel mondo secondo una stima della geografa Elisabeth Vallet sono 77, secondo la rivista Nigrizia 78. A questi dovrebbero aggiungersi quelli virtuali, elettronici, informatici, che molti Stati erigono per sbarrare in entrata e in uscita l’informazione via Internet.

Ecco un sintetico elenco di muri, barriere, fili spinati, linee militarizzate nel mondo:

Africa: Botswana/Zimbabwe; Sudafrica/Mozambico; Marocco/Sahara Occidentale; Ceuta/Melilla; Kenya/Somalia; Egitto/Striscia di Gaza; Israele/Palestina.

Europa: Grecia/Turchia; Cipro; Bulgaria/Turchia; Ungheria/Serbia/Croazia; Austria/Slovenia; Norvegia/Russia; Repubbliche Baltiche/Russia; Belfast e Derry in Irlanda; Calais in Francia. Padova, quello di Via Anelli in demolizione e quello nuovo di Via Bernina.

Americhe: Stati Uniti/Messico; Lima, Perù; San Paolo, Brasile.

Asia: India/Bangladesh; India/Pakistan; Thailandia/Malesia; Corea Nord/Sud; Arabia saudita/Yemen; Arabia/Iraq; Iraq/Kuwait; Iran/Pakistan/Afghanistan.

 

di Riccardo Tavani

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