Chissà, chissà domani

“Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma non è possibile, oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso.  

A.Moro

Strani giorni, viviamo strani giorni. La pandemia è un’emergenza nuova,  per combatterla ci hanno detto: “state a casa, andrà tutto bene” . E’ iniziata per noi la stagione della RESIDENZA durante la quale riconsiderare i nostri spazi domestici, chiusi tra le quattro mura di casa, mettere alla prova le nostre relazioni, le  assenze forzate e le presenze forzose. Perciò misuriamo la distanza dagli amici, dai parenti, dai colleghi. Non l’avevamo fatto mai. Ne avremmo fatto volentieri a meno. Aspettiamo. Aspettiamo che ritorni la luce. Aspettiamo di sentire una voce, aspettiamo che passi il peggio. Contiamo i giorni, ma anche il tempo s’è fatto strano: il mattino diventa pomeriggio, il pomeriggio diventa sera, l’orologio non smette il suo infaticabile andare, ma la percezione del tempo -nella bolla da pesci rossi che è la nostra  casa- inciampa, zoppica, accelera: ci sono ore che trascorrono in un lampo e minuti che durano un’eternità. L’unica certezza è che ogni notte che passa ci allontana dalla normalità.

Gli esseri umani hanno una tendenza intrinseca alla distrazione protettiva. Da qui gli striscioni, i cori dai balconi, l’ironia della rete, la novità del pane fatto in casa, ma l’ebbrezza di una finta autarchia, la distrazione che ci dovrebbe proteggere non regge il colpo, cede  davanti all’enormità dei numeri delle vittime della pandemia: assistiamo alla morte su vasta scala senza vedere nessuno che muore. E se la notte in cielo splende ancora il disco bianco della luna, noi cominciamo ad intuire anche il suo lato oscuro.

Chiusi nelle nostre abitazioni abbiamo tutti un limite davanti agli occhi che ci divide dal mondo: una soglia, un muretto, un davanzale, uno steccato, una siepe che tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. E’ l’ora della RESILIENZA, di approfittare di questo tempo per cercare un pezzo di infinito oltre la siepe e lì tirare i remi in barca. E’ il momento di mettere in coda ai pensieri qualche punto di domanda, di chiederci – per esempio – che cosa significa restare umani dentro una massa trasformata dalla paura, soggetta a pesanti controlli, sotto un potere frammentato.

Passano i giorni e non va tutto bene come ci avevano promesso. Il futuro non è scontato. Dopo essere stati chiamati alla residenza, poi alla resilienza, dobbiamo rispondere anche alla chiamata della RESISTENZA. I camion carichi di bare di troppi morti in viaggio di notte costringono al dolore e al tempo stesso funzionano come deterrente, il loro viaggio difficile ci dice con quanta facilità un’esistenza, le sue ambizioni, i suoi sogni, la rete di amicizie e parentele, tutto questo sentire gelosamente custodito, possa svanire nel nulla. Per questo non possiamo mollare. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Possiamo immaginarlo, il domani, ma ancora con molta approssimazione.

Chissà, chissà domani. Se avremo l’audacia di preservare i cieli che sono di nuovo tersi e mantenere chiare le acque dei fiumi tornati puliti. Chissà se avremo buona memoria, se ci ricorderemo dei morti da onorare, dei lavori umili da rivalutare, dei volontari da ringraziare.

Chissà, chissà domani. Su che cosa metteremo le mani.

di Daniela Baroncini

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