Emilce Cuda, la teologa fuori dagli schemi che parte dal popolo
Sul numero di febbraio di “Donne Chiesa Mondo”, il mensile de L’Osservatore Romano, troviamo l’intervista a Emilce Cuda, docente e scrittrice argentina, nominata dal Papa segretario della Pontificia Commissione America Latina, ruolo nel quale affiancherà il professor Rodrigo Guerra López.
Francesco e le donne, una questione su cui si dibatte fin dall’inizio del Pontificato. Alcuni lo accusano di gattopardismo o immobilismo, altri di eccessive e pericolose aperture. In effetti il Santo Padre avvia processi, perché è questo che conta per lui. Occorre spiegare ai lettori, in particolare ai non specialisti, il contesto sociale, culturale, ecclesiale, politico dell’Argentina in cui si è formato Jorge Mario Bergoglio. Una sorta di traduzione culturale non linguistica affinché l’opinione pubblica possa comprendere nel profondo le sue parole e iniziative.
Il titolo di Emilce Cuda, oltretutto, è firmato dal cardinal Bergoglio, al tempo gran cancelliere della Uca di Buenos Aires. Uno dei tanti fili rossi che unisce la “teologa atipica” e il primo Papa argentino della cattolicità, insieme all’amore per Buenos Aires, il tango, la frequentazione degli ambienti popolari e della Chiesa incarnata in essi.
Emilce Cuda è una delle maggiori esperte di Teologia del popolo, di peronismo, di populismo, di movimenti popolari e articolazioni sindacali. Una vastità di interessi in linea con il suo curriculum accademico, del tutto peculiare: la neo-capo ufficio della Pcal ha studiato in parallelo Teologia e Filosofia per poi dedicarsi a tempo pieno alla prima. E conseguire – fatto inedito a quel tempo per una donna – il dottorato in Teologia morale alla Pontificia università cattolica argentina (Uca).
La donna da tempo sostiene che le persone come lei sono solo teologi di morale sociale e lei si è specializzata in questo. Tutto il resto è troppo vicino alla politica.
Emile ci dice: «Non lasciamoci disciplinare. Continuiamo ad essere appassionate, seduttive, a parlare con il linguaggio della parola e del corpo. Continuiamo ad incantare. Ora più che mai è necessario tornare a stupire la gente. Certo, correremo il rischio di essere definite matte, come fecero con le beghine secoli fa. Ma ne vale la pena. Per questo ripeto: non lasciamoci disciplinare». Questo è il sogno per le donne, dentro e fuori dalla Chiesa, di Emilce Cuda, la “teologa che sa leggere papa Francesco”. Così la chiamano ormai, a seguito di una recensione al suo libro “Leggere Francesco”, pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri.
La capo ufficio della Pontificia Commissione per l’America Latina, designata lo scorso luglio dal Papa, è la prima donna a ricoprire tale incarico, un posto dal forte valore simbolico, indipendentemente dalla funzione reale e dalla capacità operativa. Il che conferma l’attitudine del Papa nei confronti del mondo femminile.
«E questo ha segnato la mia vita perché ho sempre avuto il desiderio di mettere a disposizione le mie conoscenze per alleviare le sofferenze delle persone più svantaggiate. Io stessa provengo da una famiglia umile, dunque conosco bene i sacrifici del popolo lavoratore per sopravvivere giorno dopo giorno. So bene cosa significhi lavorare con le mani, l’ho sempre fatto, so cosa vuol dire quando ti fa male il corpo e non puoi fermarti, ho umili origini e ne ho fatto tesoro, tutto ciò che la vita mi ha concesso, è stato un dono che mi ha arricchito nel profondo. Non potevo, dunque, che occuparmi di morale sociale. Ambito che mi ha portata a confrontarmi con universi considerati “maschili”, come i movimenti politici e i sindacati. Oltre che a battagliare per ritagliarmi uno spazio nelle strutture ecclesiastiche, all’epoca ben poco inclusive nei confronti delle donne. Come teologa non venivo presa sul serio. Quando ho presentato il mio progetto sulla Teologia del popolo al principale istituto di ricerca argentino, l’hanno respinto su due piedi definendolo un “programma di auto-aiuto” più che un’indagine scientifica».
Da quello studio è stato tratto uno dei primi articoli sulla figura di Jorge Mario Bergoglio, dopo l’elezione. A dispetto delle difficoltà, Emilce Cuda crede fermamente che l’alleanza fra i generi sia la chiave per uno sviluppo armonico della società.
Ancora ci spiega: «La radice dell’esclusione femminile è la medesima dell’esclusione dei poveri e, come per essi, la prima forma di scarto è l’invisibilizzazione. Prendiamo ad esempio la manodopera informale, categoria in cui rientrano due miliardi di persone. Il loro lavoro, svolto a giornata per sopravvivere, dà un apporto fondamentale all’economia ma non viene contabilizzato. Nelle statistiche ufficiali, non esistono.
Per la stessa ragione, spesso, si dice che non ci sono donne nella Chiesa. A volte lo dicono le stesse donne, rafforzando questa narrativa “dell’invisibile”, del “non riconosciuto”. Dipende che cosa intendiamo per Chiesa. Se è solo la gerarchia, è vero. Ma se, come afferma il concilio Vaticano II, è il Popolo di Dio, allora le donne ci sono eccome. Sono loro a incaricarsi di trasmettere la fede e sostenere anche materialmente la Chiesa».
Emicle si chiede come mai tutte le mansioni umili finiscono sempre per farle le donne, anche nella Chiesa, come i poveri rientrano nella categoria degli ultimi eppure sono proprio le donne ad avere la virtù teologale della speranza. È questa la dinamo che le «mette in moto», la forza che consente loro di curare e riciclare la vita. Non solo la riproducono, la mantengono viva fra la nascita e la morte. Per questo, sogna che le donne non smettano mai di essere donne. La loro capacità di sedurre e incantare è importante per la redenzione, nella politica, nella Chiesa, nella società. E chi può farci amare o re-innamorare della vita se non le donne?
di Stefania Lastoria