Anche noi possiamo fare qualcosa

Il debito pubblico in Italia, dopo i provvedimenti per lo stato di emergenza Covid, sarà di almeno tremila miliardi (già adesso è di duemilaquattrocento). Questo significa un debito individuale di 50.000 euro per ognuno dei sessanta milioni di cittadini.

Questo grosso debito e stato ereditato da trent’anni di governi capaci solo di crearlo facendo crescere la ricchezza di pochi e di creare difficoltà alla grande massa della restante popolazione.

Riporto un solo dato per evidenziare questo aspetto: su 41 milioni di contribuenti, solo 800 mila (e cioè l’1,95 %) dichiarano un reddito annuo uguale o superiore a 80 mila euro. All’estremo opposto, 33 milioni (e cioè l’81,5 %) risultano avere un reddito inferiore a 30 mila euro.

Certamente, tutti i governi che si sono succeduti non hanno voluto affrontare con assoluta intransigenza l’evasione fiscale, che da noi assomma annualmente almeno a 120 miliardi. Anzi, sono state più volte attuate sanatorie che non ha ottenuto risultati ed anzi, purtroppo, hanno forse fatto pensare ai contribuenti onesti di cercare anch’essi qualche scappatoia.

Naturalmente, il grande debito e la grande evasione sono gli argomenti pretestuosi con cui i paesi cosiddetti frugali dell’Unione Europea si ostinano a negare contributi a fondo perduto, a noi e agli altri paesi che dolorosamente hanno avuto dalla pandemia più gravi conseguenze.

Nelle prossime settimane vedremo se davvero l’Unione Europea ha capito che deve finirla con la politica dei profitti economici e della finanza, e che deve invece essere la comunità dei popoli, della solidarietà, del rispetto dell’ambiente.

Ma intanto noi che possiamo fare, per dare un futuro serio, una prospettiva serena per le future generazioni, per l’intera comunità nazionale?

Avremo, entro il 2021, farmaci per la pandemia e un vaccino (ma si vedrà se con  la maturità di considerarli un diritto di tutte le donne e gli uomini del mondo o se saranno ancora una fonte di profitto per pochi).

Avremo l’esperienza di cosa fare e cosa non fare per il futuro, in casi di pandemie, di grandi calamità naturali.

Avremo la consapevolezza della situazione drammatica in cui si troveranno 5 miliardi di donne ed uomini dell’Africa, dell’America Latina, dell’India.

Avremo la conoscenza delle conseguenze e dell’ingiustizia tra i diversi strati delle popolazioni che si possono avere anche nel grande paese guida della libertà e della democrazia.

Ma noi, nel nostro piccolo, in Italia, cosa dovremo fare?

Anzitutto prendere coscienza, tra noi, a livello di gente, non di politici, che si è comunità solo se si è uniti nei momenti di emergenza come è stato nel passato in momenti di guerra (che si spera non debbano più verificare, anche se ancor oggi nel mondo si contano una settantina di aree di combattimenti).

Poi rendersi conto che il governo che abbiamo oggi, per la sua debolezza, non può essere rappresentativo di un progetto organico per il futuro e che da esso possiamo solo pretendere che non si decidano cose stupide (come l’istituzione dei Navigators) o faraoniche (come il ponte sullo stretto di Sicilia) …

Ma  da esso possiamo invece pretendere che si decidano cose da subito necessarie come le migliaia di borse di studio per i medici specialisti di cui avremo necessità nei prossimi anni, o come posti per un lavoro orientato verso il futuro (come realizzazioni di industrie di pannelli fotovoltaici o di componenti per vetture elettriche, che non abbiamo per l’incapacità dei nostri imprenditori).

Poi, soprattutto, dobbiamo adoperarci per avere con il voto un Parlamento più solido, un governo capace di lavorare per un progetto di prospettiva, che abbia sempre come riferimento la Costituzione, in particolare per i diritti della madre terra, delle donne, dei giovani, dei migranti e del Parlamento.

Su una cosa, tuttavia, dobbiamo essere attenti da subito, a non credere che per motivi politici o economici o ideologici o di diritto individuale ci si possa comportare come se la pandemia sia finita.

In una situazione tragica come quella che abbiamo avuto, che ancora abbiamo, sarebbe stato necessario un governo forte, come quello della Merkel in Germania (ma non forte e sconsiderato come quello di Trump negli Usa o di Johnson in Gran Bretagna).

La situazione italiana non lo ha consentito. Abbiamo avuto Giuseppe Conte, un professorino capitato quasi per caso in politica, senza particolari competenze. Ed altri non competenti, al governo o in parlamento ne abbiamo visti, purtroppo.

Ma per il Premier abbiamo avuto qualcosa di diverso, con buona pace delle opposizioni (non ho il coraggio di pensare cosa sarebbe successo, con il governo giallo-verde).

Lo pensavo, lo hanno pensato la maggioranza degli italiani, che non abbia demeritato. Poi ho trovato il giudizio di uno che di governo se ne intende.

“Stai sereno”, gli disse Renzi. Ebbene, Enrico Letta ha detto, e lo condivido in pieno:

“Conte è riuscito ad avere un rapporto positivo e sincero con gli italiani. Fare il lavoro che sta facendo Conte nel momento in cui l’ha fatto è roba da far tremare i polsi. Tutti buoni a criticare ora, anche se alcune critiche possono essere legittime. Ma Conte si è trovato in una condizione difficilissima. “

di Carlo Faloci 

 

 

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