L’Europa e la sua croce interiore
Dobbiamo sempre ricordarlo in premessa: l’Europa è innanzitutto un accordo economico tra Stati. Questo significa che i conti alla fine contano, e molto, più della politica. Anche se la Politica è al fondamento stesso dell’Europa, dell’intero Occidente. L’attuale crocefissione dell’Europa è già tutta in questa brevissima premessa. Ed è una croce alla quale è inchiodata dentro sé stessa. L’essenza originaria che tuttora la caratterizza, la divarica da ciò che la tira, la tende interiormente verso il futuro. L’ultimo accordo sul Recovery Fund, occorre sottolinearlo, è stato raggiunto dal Consiglio Europeo, ossia dall’organo in cui siedono direttamente i singoli capi di governo dei 27 singoli Stati. Lo Stato nazionale rappresenta il passato che Altiero Spinelli e gli altri grandi ideatori dell’Europa volevano superare, per le precedenti divisioni e conflitti bellici che hanno massacrato il Continente. L’economia, inoltre, ha da tempo superato i confini statali, operando per via tecno-elettronica oltre ogni confine. Un accordo dunque sancito da un apparato obsoleto, quello degli stati nazionali, su una dimensione, quella economica, che lo ha già di fatto abolito. Se la simbologia cristologica della croce è quella del farsi carico dei dolori e dei peccati dell’uomo per redimerlo, quella dell’Europa è la moltiplicazione della croce. Ogni croce si sdoppia in un’altra, e questa ancora in una successiva, senza soluzione di continuità.
Niente, però, quanto la dura contrapposizione, proprio sul Recovery Fund, tra Consiglio Europeo, presieduto da Charles Michel, e Parlamento Europeo, presieduto da David-Maria Sassoli, ci mostra il meccanismo della croce interiore. Il Parlamento, però, è esso stesso un braccio della croce. Come potrebbe, infatti, un organismo tradizionalmente politico, anche se sopra i singoli parlamenti nazionali, decidere della brutale, immodificabile matematica del conteggio economico cui ogni stato deve attenersi? Il Parlamento Europeo, in ogni caso, ha veemente criticato l’accordo economico raggiunto dal Consiglio Europeo. Tre sono i punti principali dell’aspra critica.
Primo. Nella somma totale dei 750 miliardi stanziati è stata cambiata la proporzione tra sussidi a fondo perduto e prestiti. 390 MLD per i primi, 360 MLD per i secondi. Questo significa che il concetto di Debito Comune, ossia comune a tutta l’Unione Europea per rilanciarne l’intera economia, è accolto solo a metà. E queste due metà – una positiva l’altra negativa – rappresentano un altro duplicarsi croce. L’Italia, ad esempio, riceve più dei 173 MLD inizialmente previsti, ossia gliene arrivano 209 MLD. Di questi, però, solo 81,4 sono sussidi a fiondo perduto, mentre 127,4 sono prestiti, seppure a tasso prossimo allo zero e da restituire nel 2028. Lo stanziamento, inoltre, è per un solo anno, il 2021. Secondo il Parlamento è poi grave che per avere questi soldi si debba aspettare appunto l’anno prossimo, e non si preveda nessuno strumento di esborso immediato, tipo gli eurobond.
Secondo. Si ridimensiona anche la cifra dedicata alla ricerca e allo sviluppo di tecnologie ed economie green, per la salvaguardia del clima e dell’ambiente. Da 13,5 a 5 MLD per la ricerca, da 30,3 a 5,6 MLD per il green. Ma i tagli si abbattono su molti altri punti cruciali. I principali sono: sanità, agricoltura, decarbonizzazione, coesione territoriale, cooperazione internazionale. Alla ricapitalizzazione e solvibilità delle aziende stroncate dalla pandemia sono stati cassati completamente i 26 MLD previsti. Il Parlamento Europeo, sempre sul lato economico, chiede poi il blocco dei cosiddetti rebates, ossia gli sconti sui contributi da versare per gli Stati che attingono meno dai fondi Ue, questo sempre in relazione al concetto di debito comune.
Terzo. Per il Parlamento Europeo è inaccettabile che non sia stato minimamente affrontato il tema dell’immigrazione e la gestione delle frontiere. C’è poi il grave compromesso al ribasso sulla scottante questione della negazione dello Stato di Diritto in Stati quali Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, già condannati dalla Corte Europea. La preoccupazione diventa massima se pensiamo che la Polonia si si appresta a disdire la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica.
Se il Parlamento Europeo, alla fine, dovesse bocciare l’accordo raggiunto dal Consiglio Europeo, e chiedere che esso torni a riunirsi per apportare le modifiche proposte, chi schioderà per primo il proprio braccio dalla croce?
Soprattutto, però, la croce più lacerante è quella sulla transizione di civiltà. Richiusasi egoisticamente in sé stessa l’America, l’altra sponda dell’Occidente, cade sull’origine, ossia sull’Europa, la responsabilità dell’impervio cammino di transizione. Quello proposto dalla Commissione Europea, presieduta da Ursula von Der Leyen, si chiamava, infatti, Next Generation Eu, Recovery Fund. Il concetto-orizzonte di “Next Generation” ne esce molto ridimensionato, ma non del tutto oscurato. Sapranno le istituzioni comunitarie, ossia quelle oltre le accartocciate singolarità statali, uscire dalla croce interiore verso un nuovo orizzonte?
di Riccardo Tavani