Gli ultimi istanti nel termopolio di Pompei

Negli ultimi giorni la scoperta (risalente allo scorso anno) di un nuovo termopolio (che si aggiunge agli oltre 80 già riemersi nell’antica cittadina campana) nella Regio V di Pompei, nell’ambito della sistemazione dell’area secondo il Grande Progetto Pompei, ha destato grande stupore e meraviglia. Gli affreschi dai colori vividi, la realisticità dei soggetti animali raffigurati (anatre del tipo “Germano Reale”, un gallo, un cane alla catena), uniti al fatto di essere localizzati in un luogo, oggi a ragione, associato alle moderne tavole calde, ci hanno fatto sentire “vicini” a quel mondo pur distante da noi quasi due millenni. La bellezza, a Pompei, va però di pari passo con il dramma vissuto dai suoi abitanti, nelle ore in cui l’eruzione vesuviana spazzò via la città e le esistenze di chi vi abitava e che non riuscì a mettersi in salvo. 

Non possiamo quindi non pensare a quelle ossa che fanno capolino dal suolo, visibili in alcuni scatti del termopolio. Di chi sono? Perché si trovavano lì? Difficile rispondere con precisione. Le analisi future potranno dire molto sull’età, sul sesso, su eventuali patologie, ma non sapremo mai rispondere con precisione a queste domande.

Gli scheletri umani rinvenuti sono due. Uno di questi, i cui resti sono stati ritrovati sparsi, mostra chiari segni di spostamento e di manomissione, probabilmente ad opera dei primi scavatori del sito, secoli fa (la struttura mostra infatti la presenza di cunicoli, attraverso i quali si raggiunse in passato l’edificio sepolto). L’ipotesi è che possa trattarsi delle ossa di qualcuno giunto sul posto per appropriarsi di qualcosa, oppure probabilmente in cerca di un pasto caldo (del resto la parola thermopolium, dal greco thermòs «caldo» e poléo «vendere», rimandava alla originaria vendita di bevande e pietanze calde). Ricordiamo infatti che l’eruzione durava da diverse ore e la colonna di gas e lapilli che fuoriusciva dal Vesuvio coprì il cielo e con esso il sole, causando probabilmente l’abbassamento delle temperature. 

Al secondo livello dell’edificio è stato rinvenuto uno scheletro, disteso, travolto probabilmente dal crollo del soffitto, dovuto al peso delle pomici accumulatesi sul tetto. Può sembrare assurdo che qualcuno, in quel contesto di panico e caos, potesse trovarsi in un letto, ma non è un esempio isolato. Sempre a Pompei, infatti, accanto ad un edificio sacro dedicato al culto di Augusto divinizzato, una piccola sala, forse del custode, ha restituito un letto in muratura con sopra i poveri resti carbonizzati di una persona. Non sappiamo cosa pensassero in quel momento. Probabilmente cercavano un breve momento notturno per riposare, per “staccare” qualche istante da quella giornata spaventosa, l’ultima per molti di loro. 

Un terzo scheletro rinvenuto nel termopolio non è umano ma animale: è integro ed appartiene ad un cane di piccole dimensioni. Si ipotizza fosse di una razza selezionata, per farne un cane “da compagnia”. 

Il fascino di Pompei è anche questo. 

Da una parte splendidi affreschi, che mostrano soggetti vividi, quasi animati, raffigurati su un bancone che sembra essere stato abbandonato da pochi istanti, in attesa che il proprietario vi faccia ritorno, con i contenitori ancora pieni di cibo e bevande, alcuni chiusi e alla cui apertura uno di essi rivela il suo contenuto ancora prima di vederlo. L’odore di vino “… ci ha investiti fortissimo quando abbiamo aperto uno dei grossi vasi col coperchio che erano sul bancone” commenta il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Massimo Osanna. 

Dall’altra due scheletri umani, l’orrore di una morte terrificante e la testimonianza di due vite umane spezzate nel momento in cui tutti gli oggetti inanimati intorno a loro venivano invece preservati dal decadimento. 

Preponderante dunque, ritorna in mente l’immagine del banchetto di Trimalchione, raccontato nel Satyricon di Petronio (34, 6-9), in cui il rozzo ma ricchissimo proprietario di casa offriva le più ricercate pietanze e bevande ai suoi ospiti, accompagnando il pregiato vino Falerno Opimiano da un piccolo scheletro in argento, a ricordare la caducità dell’esistenza umana e di godere appieno della vita, finché c’è.

Diverso il monito che ci giunge da quegli scheletri. Un evento devastante ha posto fine a numerose vite, ma grazie a quell’evento noi possiamo capire di più sul loro modo di vivere la quotidianità, conoscere il loro mondo o anche semplicemente meravigliarci di fronte ai piccoli capolavori di arte suntuaria, agli affreschi, a semplici graffiti che trasudano una vita vissuta al pieno delle sue possibilità. Proteggere e valorizzare ciò che Pompei offre e ha ancora da offrire, tutelando tutti coloro che contribuiscono, a vario titolo, a far funzionare la “macchina” Pompei è oggi il più grande segno di rispetto che possiamo tributare alle vittime dell’eruzione del 79 d.C. 

di Fabio Scatolini

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