Una trappola per le donne, dalla sottomissione psicologica al femminicidio

Lynda, una delle tante donne vittime di minacce coniugali, ci racconta la sua storia: “Andare via da casa è davvero difficile. Anche se ne hai voglia è dura, molto dura. Perché la tua volontà non conta, perché ci sono le rappresaglie e le minacce, così io stessa sono stata vittima in passato di violenze coniugali.

Ci si sente in trappola, non si ha più nessuno, si subisce e basta anche perché diventa difficile raccontare.

Dal di fuori è facile dire frasi come <<se vuoi puoi venirne fuori>> ma non è così semplice. Forse io stessa non volevo che la gente sapesse del mio inferno. Molti pensano che te ne puoi andare, ti chiedono perché non sei scappata, oppure perché ti sei allontanata e poi sei tornata a casa. Ci si trova di fronte un muro di incomprensione. Bisogna capire che esiste un meccanismo psicologico molto subdolo e sottile, che distrugge le capacità psichiche delle donne. Osservando attentamente questa problematica, ci si accorge che spesso, dietro questi omicidi, si nasconde uno schema ricorrente. E cioè quello di una relazione in cui una persona assume il controllo dell’altra, che suo malgrado è spinta a sottomettersi. Un meccanismo che è al centro delle violenze nella coppia”.

Nel 2018, in Francia, 121 donne sono state uccise da un congiunto o da un ex congiunto. In Italia, nello stesso periodo, 73 donne sono state uccise dal loro partner attuale o da quello precedente, secondo l’Istat.

Una squadra di giornalisti del quotidiano francese Le Monde ha indagato per un anno sui femminicidi in Francia. Il loro lavoro ha permesso di definire degli schemi ricorrenti negli omicidi all’interno della coppia. Nella maggior parte dei casi, la donna è vittima del controllo psicologico esercitato dal marito, definito dai giornalisti la “morsa”. Un processo di soggiogamento, che precede spesso la violenza fisica, e che porta le donne a sentirsi sole e incomprese, spesso anche per mancanza di ascolto da parte delle autorità. Poiché, dunque, l’uomo si spinge fino a considerare la donna una sua proprietà, la richiesta di separazione è spesso uno dei principali fattori di rischio di femminicidio.

Nel quadro di questa inchiesta, Le Monde ha ricostruito nel dettaglio la vita e la morte di Laetitia Schmitt, una francese trentacinquenne uccisa nel 2018 dal marito da cui stava divorziando e che esercitava su di lei un controllo assoluto ed ossessivo da molti anni.

Julien Griffon, il marito in attesa dell’istanza di divorzio, venne descritto come un uomo violento. Era già stato condannato ad una pena detentiva di un anno per aver picchiato sua moglie Laetitia, pena poi sospesa ma che gli impediva per legge, di avvicinarsi a lei e alla sua abitazione, non doveva mai entrare in contatto con la moglie né farsi vedere nella città in cui viveva.

Eppure quel 25 giugno del 2018, dopo aver accompagnato i suoi figli a scuola, Laetitia Schmitt di ritorno a casa trovò il marito che la pugnalò fino alla morte. Dopo due giorni Julien Griffon mise fine alla sua vita lanciandosi sotto a un treno.

Una delle tante storie strazianti, una delle tante storie che specie in questo caso, dopo denuncie e provvedimenti restrittivi, poteva essere evitata. Eppure a nulla valse tutta questa rete di protezione che indubbiamente ha fatto emergere qualche falla nel suo sistema.

Ecco perché spesso le donne non denunciano. Per paura e per quella consapevolezza che forse alimenteranno l’aggressività del proprio carnefice, complice uno Stato che spesso non può o non sa fare molto. Come se il femminicidio, sempre più frequente, non fosse una realtà da affrontare e risolvere nelle giuste sedi, come se la violenza alle donne non fosse una priorità da sconfiggere. E le donne si sentono sempre più sole, sempre più indifese perché sanno che una denuncia non basta, perché dopo quel primo coraggioso passo comprendono che la “giustizia” si ferma lì, non va oltre, non le protegge. Sole, stavolta doppiamente sole e beffate da un sistema giudiziario che sembra far acqua da tutte le parti.

Noi possiamo solo raccontare affinché, questa piaga sociale, possa diventare un problema da affrontare in modo molto serio, con determinazione e coraggio.

di Stefania Lastoria

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