L’economia verde: una scelta urgente e indispensabile
Nel programma del nuovo governo non poteva mancare un capitolo dedicato alla cosiddetta transizione ecologica. Anzi, addirittura un apposito (super)ministero, dedicato al nuovo compito che la politica si è data.
Si è letto sui giornali che il ministero sarebbe nato per consentire l’ingresso nella maggioranza al Movimento 5 Stelle, o a quel che ne resta dopo le ultime defezioni. Altri sostengono piuttosto che sarebbe sorto per poter essere in linea con il nascente Green Deal europeo e, quindi, per poter fruire dei relativi finanziamenti.
Sono ottimi argomenti che, però, non mettono in evidenza le ragioni più vere per le quali una svolta ecologista è urgente e necessaria. Una svolta orientata a realizzare un’economia sostenibile, meno inquinante e meno vorace e distruttiva nei confronti del pianeta e di noi stessi.
La pandemia ha causato nel mondo circa due milioni e mezzo di morti. Una cifra impressionante, ma molto inferiore al costo in vite umane dell’inquinamento atmosferico, che assomma ad oltre otto milioni di morti l’anno (Le Scienze, 12 marzo 2019). In Europa i morti da inquinamento atmosferico hanno raggiunto la cifra di 790.000 l’anno, superando il numero delle vittime di COVID-19.
Una ben più grave pandemia, da cui mascherine e vaccini non ci difendono. D’altronde, la cifra è ancora sottostimata e imprecisa, perché non comprende il numero tuttora ignoto di decessi e malattie causati dall’uso di pesticidi e diserbanti, o dal traffico illecito di rifiuti tossici e pericolosi.
È questo lo scotto che le forze economiche, palesi e occulte, impongono al genere umano. Una sorta di tassa occulta sulla vita, a favore di chi le tasse dovrebbe solo pagarle.
La situazione, poi, è particolarmente grave in Italia, che gode di alcune spiacevoli peculiarità: la “terra dei fuochi”, l’Ilva di Taranto e il record europeo di polveri sottili in pianura padana.
Direi che non mi stupisce l’impegno che l’Europa e l’Italia hanno preso (almeno nelle dichiarazioni) verso la transizione ecologica; mi stupisce, piuttosto, che si siano decisi così tardi e per un motivo di importanza secondaria (la ripresa economica resa necessaria dalla pandemia) rispetto alla drammaticità del problema. Come se fosse stata necessaria quest’ultima sberla per svegliare il mondo politico, finora abituato a infilare – come lo struzzo – la testa nella sabbia degli interessi di parte o di categoria.
L’economia verde è, di fatto, molto più importante del piano vaccinale al fine di salvare vite umane; anzi, questa ed altre zoonosi – epidemiche o pandemiche – altro non sono che un segnale (uno dei tanti) della trascuratezza delle politiche mondiali nei confronti dell’ambiente.
Certo, poter ridurre o eliminare i milioni di morti da inquinamento non è cosa trascurabile. Ma non è ancora questo il risultato più importante, se si pensa alla prospettiva di un cataclisma planetario, dovuto all’innalzamento progressivo della temperatura media terrestre, fenomeno che molti studiosi considerano non lontano dal punto di non ritorno. Nei prossimi decenni, senza un’incisiva svolta “verde”, il cambiamento climatico e il conseguente innalzamento dei mari cambieranno il volto del pianeta e le condizioni di vita dell’umanità: di tutta l’umanità e in modo drammatico.
La crisi economica, che oggi tanto ci preoccupa, sarebbe allora catastrofica ed irreversibile, e sarebbe in gioco la sopravvivenza della nostra civiltà, se non di una parte consistente dell’umanità stessa.
Vi è poi un ulteriore motivo per abbracciare convintamente la transizione ecologica, motivo del quale poco si parla, anche se sarebbe utile parlarne di più.
Mi riferisco al fatto che molti Paesi, come il nostro, dipendono dai produttori di combustibili fossili, e che questi hanno un’arma di ricatto formidabile, che mai hanno esitato ad usare nei rapporti tra gli Stati. Il gas e il petrolio, gli oleodotti e i gasdotti pesano nei rapporti internazionali e condizionano la politica estera nell’intero pianeta. Il progressivo abbandono dei combustibili fossili vorrebbe dire l’affrancamento dallo strapotere dei Paesi che li producono o li distribuiscono in un vero e proprio regime “di cartello”. Vorrebbe dire eliminare la causa di qualche guerra e di molti soprusi. Non solo l’atmosfera materiale sarebbe alleggerita da gas serra e inquinanti, ma anche l’atmosfera politica mondiale se ne gioverebbe.
Liberarsi dalla dipendenza dalle fonti energetiche non rinnovabili controllate da potenze e potentati stranieri sarebbe un grande successo politico e civile: vorrebbe dire riappropriarsi di una sovranità più vera e sostanziale del sovranismo, il suo moderno e deteriore surrogato.
Lo stesso discorso vale per il nucleare, la cui progressiva riduzione renderebbe superflue tante pericolose controversie internazionali.
In altre parole, anche la pace passa dalla transizione ecologica.
Ma questo ci confronta con un problema ulteriore: i Paesi produttori e le multinazionali della distribuzione non vedranno certo di buon occhio questa svolta, e non staranno con le mani in mano ad assistere al proprio ridimensionamento economico e politico.
Ecco un’altra difficoltà che le buone intenzioni ecologiste si troveranno davanti. Non sarà facile mediare, occorreranno abilità e fermezza. Da questo punto di vista, le amicizie, i contatti, i noti o oscuri rapporti economici tra alcuni nostri politici e i governi di alcuni Paesi produttori non possono non preoccuparci.
Alla luce delle opache triangolazioni tre Lega, Russia ed ENI emerse in anni recenti, e dei rapporti tra Renzi e il governo saudita, almeno due dei partiti che sostengono il governo Draghi sembrano poco affidabili rispetto ad una credibile transizione ecologica, che non avrebbe senso senza un oggettivo danno ai loro “amici”. Per chi lavoreranno questi due partiti? Il timore che possano ostacolare in qualche modo la transizione ecologica, certo non in modo diretto e visibile, forse è un’assurda paranoia, ma non riesce ad abbandonarmi.
Ma certo non sono questi gli unici collegamenti tra la politica (non solo la nostra!) e il mondo che orbita attorno ai combustibili fossili, con la sua enorme forza economico-finanziaria.
In conclusione, la svolta verde non è solo auspicabile, ma urgente e indispensabile; e nonostante gli ingenti fondi ad essa destinati e un ministero dedicato, non sarà facile né priva di insidie.
L’autorevolezza di Draghi come economista e la centralità da lui sempre riconosciuta ai problemi sociali mi fanno sentire fiducioso nel successo del governo in tale ambito. Ma la “transizione” ecologica ha bisogno di conoscenze specifiche, di stabilità e lungimiranza politica, di una visione chiara e di grande pragmatismo. Quanto a questo, non so quanti nel governo abbiano sufficienti competenze e capacità, e non mi sento altrettanto sereno. Riusciranno i nostri eroi a traghettarci in un mondo più verde a dispetto delle insidie nascoste?
di Cesare Pirozzi