Un 8 marzo a rischio retrocessione
Si dice che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna.
E dietro un grande donna?
Dietro una grande donna non sempre c’è qualcuno. O forse non esistono donne “piccole”, soltanto grandi donne.
Maria (un nome da madonna), nasce nel 1896. A vent’anni è già maestra elementare, assegnata a una frazione di montagna. Lontanissima da casa, per raggiungere il suo posto di lavoro da maestrina impiega un’odissea: prima col treno, poi con la “corriera”; gli ultimi chilometri lungo il fiume li percorre a piedi e a dorso d’asino, portando con sé una valigia e un mandolino.
La montagna, la scuola, il fiume, la grande guerra.
Di là dal fiume c’è una segheria e Maria trova lì il suo falegname, un giovanotto di montagna che al lavoro ci va a piedi, attraversando il fiume sui trampoli, perché i tempi sono incerti e la vita è sempre un gioco di equilibri. Maria e il falegname: una coppia da presepe che regala la vita, un titolo di studio e un futuro a cinque figli. Gli uomini di montagna si “arrangiano”, hanno lavori precari, occasionali; è la continuità dello stipendio di Maria che tiene insieme i muri di casa, è il suo lavoro che fa la differenza. E’ Maria che regge, che tiene i cordoni della borsa, le chiavi della dispensa.
I figli, la casa, la scuola, la seconda guerra mondiale.
Maria insegna, cresce, educa, accudisce e ha sempre un libro sotto il braccio. Alle donne è affidata l’educazione, la conoscenza, il compito di dare un nome alle cose. Dicono che il lavoro nobilita l’uomo. E la donna? Il lavoro – più che nobilitarla- la rende libera. Libera di muoversi nelle regole o di cambiarle. Libera di scegliere se andare o stare. E se stare, come stare.
Cent’anni, due guerre, gli anni del boom economico, il nuovo secolo, la modernità.
Nessuno più attraversa il fiume sui trampoli per andare al lavoro, né percorre i sentieri a dorso di mulo, ma il diritto al lavoro è ancora questione irrisolta, soprattutto per le donne. Il tasso di occupazione femminile è di 18 punti percentuali più basso di quello maschile, il lavoro part-time riguarda il 73,2% delle donne ed è involontario nel 60,4% dei casi. I redditi complessivi guadagnati dalle donne sul mercato del lavoro sono in media del 25% inferiori rispetto a quelli degli uomini. E la crisi del lavoro nell’era del Covid si declina soprattutto al femminile. La pandemia ha rivitalizzato gli stereotipi che sembravamo aver superato, riportando da un giorno all’altro le donne a casa. Nel secondo trimestre 2020 si sono contate 470 mila occupate in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un calo del 4,7%. Solo nel mese di dicembre 99mila donne hanno perso il lavoro. Ciononostante restano sulle spalle delle donne la cura dei figli, delle persone anziane non autosufficienti e delle persone con gravi disabilità. Più della metà delle donne fra i 25 e i 50 anni, con figli piccoli, non sono disponibili al lavoro per motivi legati alla maternità e all’impegno di cura .E’ un bilancio pesante e destinato a peggiorare, quando a questi numeri si sommeranno le conseguenze delle chiusure territoriali in corso e soprattutto quando saranno sbloccati i licenziamenti delle lavoratrici e dei lavoratori a tempo indeterminato. Oggi c’è il rischio di fare un passo indietro nella storia. Eppure il lavoro resta l’unica strada sicura verso l’indipendenza.
di Daniela Baroncini