Erano gli anni…

Erano gli anni in cui Nilla Pizzi ed il Duo Fasano cantavano una canzoncina orecchiabile dal titolo “Avanti e indré” e che aveva come parte del ritornello:

avanti e Indrè
avanti e Indrè

che bel divertimento,
avanti e Indrè
avanti e Indrè
la vita è tutta qua!!

Erano anche gli inizi degli anni ’50, quelli in cui nell’intero comprensorio, ad eccezione di pochi casi (Civitavecchia tra questi), la Democrazia Cristiana, molte volte unita a socialdemocratici saragattiani, era salita al potere locale dopo i primi 5 anni di governo cittadino delle sinistre socialcomuniste e cominciava a riprendere corpo lo sprezzante giudizio che una certa borghesia aveva avuto nei confronti della classe operaia e dei nullatenenti in genere nel primo ventennio del 1900, definendoli: esseri bassi e vili, buoni solo a far razza che di umano non hanno che il sembiante e la brutalità. Così ad Allumiere fu eletto Sindaco Giovanni Annibali, che ben presto verrà sostituito da Raul Brunelli, a Tolfa verrà eletto Augusto Moretti ed a Riano Rinaldo Simonelli. Insomma dai Monti della Tolfa alla Tiberina solo Sindaci di centro.

La batosta elettorale del 1948 aveva lasciato il segno nell’animo dei militanti della sinistra ma non li aveva di certo piegati e assolutamente non aveva del tutto annullato la loro forza attrattiva. Tanto è vero che la famosa proposta di attribuire un consistente premio di maggioranza alla coalizione che avesse raggiunto la maggioranza dei consensi, subito definita dalla sinistra legge truffa, fu sonoramente battuta alle politiche del 1953 e tale esito riaccese gli entusiasmi di quegli uomini e di quelle donne che non avevano mai cessato di combattere per i loro ideali. La vita andava avanti tra avanzate e indietreggiamenti politici, problemi occupazionali e di vita quotidiana ma nessuna di queste difficoltà politiche e sociali riusciva a toccare o minimamente scalfire la voglia di vivere, l’anelito ad un futuro migliore e la ferma convinzione (in ognuno di essi) che, così come sostenne Seneca, non è perché le cose sono difficili che noi non osiamo ma difficili solo perché noi non osiamo. E loro osavano, senza alcun timore, chiedere un futuro migliore per loro e per le relative famiglie, convinti come erano, per dirla con Ignazio Silone, che “si salva l’uomo che supera il proprio egoismo d’individuo, di famiglia, di casta, e che libera la propria anima dall’idea di rassegnazione alla malvagità esistente. Avevano aspramente reagito all’attentato a Togliatti, avevano condotto e vinto la battaglia contro la sopra richiamata Legge Truffa, erano elettoralmente passati dal 31% del 1948 ad oltre il 35% del 1953 e si apprestavano ad una nuova avanzata nel 1958. Insomma, non si rassegnavano alla malvagità descritta da Silone ma credevano di vedere davanti ai loro occhi lo spuntare del sol dell’avvenire. In tale contesto storico e politico non si limitavano a leggere in ordine i fogli del libro che racconta la vita ed i sogni, loro li sfogliavano a caso, e quindi sognavano, in ciò confermando il profondo pensiero di Schopenhauer.

E per quegli uomini e quelle donne, almeno così li ricordo nei loro appassionati e un po’ romanzati racconti, sognare era anche vedere una distesa di bandiere rosse che si incamminava da Allumiere e da Tolfa e confluiva alla Cavaccia per una sorta di comunione ideale tra le due rappresentanze della sinistra dei Monti della Tolfa, mentre a Riano si radunavano, sotto la regia di Adorno Guadagnoli, nelle immediate adiacenze dell’attuale Viale Parigi.

Inutile dire che, se le pietanze consumate in quei simposi erano il mirabile prodotto delle sapienti mani delle mogli dei commensali, il vino altro non era che il prodotto di vigne autoctone, di tecniche enologiche non ancora perfezionate. Del resto la qualità, spesso non eccelsa, veniva ampiamente superata dalla quantità ingurgitata che, come noto, dopo qualche fojetta, obnubila sia le menti che le papille gustative.

Ed anche quella sera, dopo mangiato e cantato, ben bevuti e quindi con passo malfermo, si recarono a Tolfa, dove in Piazza Vecchia ci sarebbe stato un comizio di Giovanni Ranalli. La manifestazione politica fu molto sentita e Ranalli esortò tutti i partecipanti, comunisti e socialisti, sia di Allumiere che di Tolfa, a far propri i principi di universalità e fratellanza tra lavoratori, tra proletari e tra uomini e donne della sinistra.

Il comizio terminò accompagnato da fragorose battute di mani all’oratore ed al canto de L’inno dei Lavoratori. Si serrarono le fila della colonna allumierasca che si incamminò in direzione di Via Roma, non disdegnando abbracci e strette di mano tra le due compagini. Appena rimasti soli ed incontaminati dalla vicinanza del torfetano o del rumierasco ognuno dei componenti le due diverse umanità dei Monti della Tolfa dimenticò ogni buon proposito relativo alla pacifica convivenza ed ogni cognizione in merito alla previdenza che preserva dai danni ed alla indulgenza che salvaguarda da liti e brighe.

L’occasione, possiamo dire il casus belli, fu rappresentata dalla conformazione iniziale di Via Roma, caratterizzata da una strettoia che suggerì la provocazione di rito, sconfessando, da una parte e dall’altra, ogni solo affermata e non osservata convinzione in ordine alle ragioni di previdenza ed alla successiva necessità di indulgenza.

La canzoncina “avanti e indrè, che bel divertimento” fu storpiata ed adattata ad un ironico

Avanti in tre, avanti in tre

ché ‘n quattro ‘n ce se cape

scatenando le ire dei tolfetani che non avevano gradito quella offensiva presa in giro nei confronti del loro paese e che immediatamente anticipò quel ben più grave tintinnar di sciabole che Nenni avrebbe udito un decennio più tardi. Inutile dire che i principi di universalità e fratellanza appena declamati da Ranalli furono immediatamente, sia pure e per fortuna momentaneamente, accantonati e si accese l’ennesima, almeno per quei tempi, zuffa campanilistica. A nulla valsero gli improperi delle mogli rivolti ai propri consorti né tanto meno i richiami di Ranalli che salito nuovamente sul palco invitava ancora alla pace ed alla fratellanza.

Certamente, qualche anno dopo, se Jurij Gagarin, primo uomo a volare nello spazio, avesse visto quella scena, non avrebbe mai e poi mai potuto pronunciare la sua famosa frase: “Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini
 

di Pietro Lucidi

 

 

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