Uccisi dalla avidità
Si muore sul lavoro. Muoiono mamme e padri di famiglia. Due o tre al giorno. Una strage senza precedenti. Ogni anno aumentano. Muoiono. Sul lavoro. Per cause che tutti conoscono e nessuno interviene per rimuoverle. Muoiono lavoratrici e lavoratori, di tutte le età, sottopagati, sfruttati, senza diritti, senza difese, senza nessuna voce che si levi per loro. Il piano di resilienza del governo Draghi, prevede soldi alle imprese, ma non prevede sanzioni per le aziende che non applicano le leggi sulla sicurezza e contro gli infortuni. Avidità. Si chiama avidità quella che fa morire le lavoratrici e i lavoratori mentre cercano di guadagnarsi il pane. Avidità, come quella che ha fatto morire 14 persone sulla funivia del Mottarone. Avidità, più forte di qualsiasi etica e morale. Avidità, più forte del rispetto della vita umana. Eppure tutti tacciono. Indifferenti. Alla morte sul lavoro. Che non è più lavoro, ma schiavitù.
Nel 2021 sono morte 306 persone, in crescita del 9,3 % rispetto al 2020. I morti crescono, gli stipendi si abbassano. I morti crescono, e gli standard di sicurezza si abbassano. Nel 1962 morivano migliaia di persone sul lavoro, proprio in quell’anno la Rai, cioè il governo, cacciò Dario Fo e Franca Rame dalla conduzione di Canzonissima perché avevano fatto denunciato le morti sul lavoro, con uno sketch sui muratori che cadevano dalle impalcaature. Omertà di Stato. Omertà bancaria. Omertà finanziaria. Omertà padronale. Omertà uguale avidità. La vita umana non vale neanche una parola sulla Tv di Stato. Nessun provvedimento. Nessun intervento che cambi le cose. Solo parole. Parole. Parole vuote senza significato, di circostanza, tanto per dirle, ma non cambia niente. Le morti sul lavoro continuano, al ritmo incessante di due o tre al giorno. Una strage degli innocenti. Una strage che si consuma per aumentare la ricchezza dei ricchi, spinti da una avidità smodata, senza fine. Un pozzo senza fondo, ricolmo di cadaveri di donne, uomini, che si spezzano la schiena per non arrivare a fine mese, per morire prima della fine del mese.
Vittime del profitto. Tanti anni fa, il giudice Felice Casson, pubblico ministero chiudeva la lista degli imputati e delle imputazioni nel processo di Porto Marghera, per le morti operaie da cloruro di vinile e per l’eccidio della Laguna di Venezia: “Con l’aggravante del futile motivo: il profitto”. La procuratrice di Verbania ha espresso lo stesso concetto nel caso della funivia del Mottarone davanti all’evidenza della esclusione dei freni di emergenza la cui attivazione avrebbe salvato la vita ha 14 persone. È una linea rossa in cui si intrecciano abusi, violazione delle norme, impunità, e il dolore dei familiari che hanno difficoltà ad avere giustizia. E la linea che passa dal microimterruttore o fotocellula manipolati per poter mantenere i aperta la protezione e uccidere Luana a Prato. Che passa dal ponteggio incompleto o assente, da cui cadono i lavoratori, scrive Marco Calderoli su il manifesto, e arriva alla mancata manutenzione del ponte Morandi, alle multiple responsabilità della strage di Viareggio o a quelle di Pioltello.
Nessun errore umano, la scelta di non intervenire per incrementare il profitto, principale regola di questo capitalismo liberticida, avido e onnivoro, anzi di rendere inattivi i requisiti essenziali di sicurezza. Si torna agli anni ’70 quando i lavoratori della Montedison di Castellanza denunciavano la politica aziendale del “ non manutenere o manutenere il meno possibile” assumendosi il rischio che veniva ritenuto accettabile dalle aziende sottoscrivendo assicurazioni per possibili infortuni. La la vita non è risarcibile. Non c’è valore di mercato. Non può essere barattata con il profitto e l’avidità. I diritti delle lavoratrici e dei lavoratori sono inalienabili, in specie quelli sulla sicurezza. Eppure le misure del governo Draghi, sono indirizzate alle imprese, assistenza alle imprese, non assistenza alle lavoratrici e lavoratori. Il diritto alla salute non può essere esiliato dai luoghi di lavoro, non può essere bandito pena il licenziamento. Il diritto alla salute e alla sicurezza è il primo requisito sociale di un lavoro umano, non può essere demandato al buonismo del padrone, ma deve essere legiferato. Il diritto alla salute deve essere garantito e controllato che venga rispettato in tutte le sue parti. I luoghi di lavoro rivendicano da sempre una visione sociale e un servizio sanitario degno di questo nome, fondato sulla prevenzione e il coinvolgimento diretto delle lavoratrici e dei lavoratori alla gestione dell’impresa, che elimini l’avidità e il profitto, sostituendoli con la socialità e il reinvestimento nella prevenzione e sicurezza per ridare dignità al lavoro.
di Claudio Caldarelli