Il lavoratore del cielo cui rubano la carlinga mentre vola

Fabrizio Tomaselli è andato in pensione dall’Alitalia già da qualche anno. Adesso se ne sta andando dall’Italia. Alla fine del suo libro, Sulle ali della dignità, ti assale un moto di rabbia. Un altro prezioso cervello in fuga verso l’estero. Non contano solo gli anni trascorsi, ma anche l’intensità con cui li si è vissuti. E Tomaselli gli anni tra cieli, scali, tempeste d’aria e sindacali li ha vissuti come se fossero il doppio del loro mero aspetto numerico. Ha così introiettato il portato collettivo di una tale conoscenza, intelligenza, sapienza, capacità teorica e pratica, da sbalordirsi che il suo cervello, la sua parola, la sua persona non siano acquisite come patrimonio pubblico nazionale. Non da mettere in una teca museale, ma da far circolare attivamente come proficuo bene comune collettivo. Si resta ossia meravigliati che non venga chiamato come consulente di ministeri quali quelli dei trasporti e del lavoro, o di qualche tink tank, pensatoio ad alta valenza  analitica.

Le cose dette qui per Fabrizio Tomaselli valgono per molte, per molti cui hanno rubato quella carlinga mentre lavoravano in cielo. La leva di ragazze e ragazzi che entrano in Alitalia negli anni ’70 e ’80 è caratterizzata da una forte scolarizzazione, spiccato senso dell’impegno culturale, civile, politico, come dice Carlo Gianandrea, uno dei principali protagonisti del movimento di lotta di base in Alitalia. Tra gli assistenti di volo questo ha immediatamente un effetto dirompente. Considerati – dall’ex AD Umberto Nordio – “soltanto camerieri che trafficano e le hostess anche peggio”, hanno in realtà una cultura superiore a molti responsabili della Direzione assunti per clientele politiche e a  quelle mere cinghie di trasmissione partitiche che sono i sindacati tradizionali. Sanno leggere tra le pieghe di un contratto, di un bilancio, di un accordo economico internazionale. A essi non si possono più raccontare le classiche filastrocche imbonitrici del vecchio paternalismo aziendale e sindacale. È una frattura epocale.

Nel 1979 lo dimostrano con uno sciopero compatto, lungo quaranta giorni che fa saltare tutti i precedenti equilibri politico-sindacali aziendali. Esso riscuote vicinanza e consenso anche tra il personale di terra, nei settori operativi, nella stessa palazzina direzionale. Anche diversi piloti esprimono la loro solidarietà e partecipano attivamente alle assemblee. Tra questi si ricordano i comandanti Italo Comani e Alberto Bonuglia, anche se la Cgil Piloti, pur dimostrando iniziale attenzione, non aderirà mai all’iniziativa. Sebbene sconfitta, quella lotta è l’atto originale e originario di un rinnovamento di fondo. Il sindacato di base non più come mestiere, professione, per acquisire potere, influenze, carriera, ma come bandiera di una generazione colta, sburocratizzata, aperta, leale nelle proposte e nel conflitto. Tomaselli entra come avventizio, stagionale solo qualche anno dopo in Alitalia, ma l’aura emanata da quello sciopero non si è certo spenta. A bordo, nei transiti, nelle soste se ne continua a parlare come di una matrice d’identità inedita che emana da qualcosa che è insito in quel loro battito d’ali: un ritmo, un respiro, il silenzio tra una parola e l’altra che si tesse in muta intesa, pensiero e azione. E questo proprio perché le lavoratrici, i lavoratori dei cieli sono frammentati, dispersi tra nubi, rotte, latitudini, turni, città, intimità, impegni, famiglie. Solo un comune sentire, un muto ma denso afflato può innanzitutto legarli in un progetto di riscatto. Amalia Di Giampietro, un’altra decisiva protagonista di quella stagione, è in sosta, ossia fa parte di un equipaggio Alitalia che deve risiedere per un lungo periodo a Bangkok, per compiere da quello scalo voli verso altre città asiatiche. Da lì svolge il suo ruolo di dirigente sindacale di base, e, riceve, invia tramite i fax degli alberghi informazioni, scambi di pensiero, decisioni. E Paolo Maras, che insieme all’autore ha compiuto i primi passi del loro lungo comune cammino: “Per gli assistenti di volo il posto di lavoro è il tubo di ferro in cielo: come contattarli se il numero totale viaggia intorno ai tremila e cinquecento?”.

Le tappe di questo inedito percorso sono dettagliatamente ricostruite dall’autore sullo sfondo sia dell’involuzione dell’asseto industriale e commerciale Alitalia, sia del più generale quadro che avvolge i diversi periodi. I vari mutamenti corrispondono anche ad ampliamenti organizzativi e di rappresentanza al di fuori degli assistenti di volo. Dal trasporto aereo al trasposto tout court, a tutte le categorie del lavoro. Dal Comitato di Lotta del 1979, al Coordinamento degli assistenti di Volo, al SULTA, Sindacato Unitario Lavoratori Trasporto Aereo, al SULT, Sin. Unit. Lavoratori Trasporto, al SDL, Sindacato dei Lavoratori, all’USB, Unione Sindacale di Base

Domenico Cempella, il manager Alitalia forse più conosciuto, recentemente scomparso, a dire proprio a Fabrizio Tomaselli di avere sul comodino una copia del loro statuto con una definizione del termine conflitto che la notte non lo fa dormire. Una generazione cui lo stesso Cempella ha contribuito a rubare la carlinga in volo. Le ali della dignità, però, quelle non è riuscito neanche a sfioragliele. E se oggi potesse leggere questo importante sforzo di ricostruzione storica landed, fatto atterrare in libreria e on-line da Tomaselli, non potrebbe mancare di riconoscerlo. Anzi, da alto tecnico di carriera sempre interna ad Alitalia, Cempella non potrebbe oggi disconoscere che l’interlocuzione con quella generazione poteva e doveva andare oltre il tavolo necessario, proficuo del conflitto. Lamberto Contigliozzi, uno dei costituenti del ’79, lo aveva salutato con il massimo di apertura: “Diamo il benvenuto a Cempella. La soddisfazione non riguarda il nome in sé, perché non abbiamo valutazioni prefabbricate, ma lo vediamo come un segnale di ripresa di trattativa reale”.

Cempella poteva e doveva, perché in quelle proposte reali, contrattuali e normative, c’era e c’è ancora una visione del destino aziendale. Non lo ha fatto, però, perché a una generazione culturalmente, mentalmente libera lui poteva rispondere solo come uno dei tanti manager che agiva prigioniero di un mandato. Un preciso mandato dello s-capitalismo italiano, come lo chiama Marco Ferri nella sua bella prefazione al libro. Una razza padrona senza visione che non fosse quella dello sfruttamento, della rapina di risorse, dello scambio politico clientelare, della cecità strategica, della svendita, della dissipazione di aurei patrimoni aziendali, quale quello del marchio Alitalia, tra i più prestigiosi e conosciuti al mondo.

Non a caso il titolo completo del libro è Sulle ali della dignità. Come i lavoratori si sono battuti per impedire la distruzione di Alitalia. Prima di andarsene via dall’Italia, l’autore ha voluto portare a termine quest’ultima preziosa fatica. Lo ha sentito come un ultimo dovere non meramente personale, individuale, ma come testimonianza collettiva che riconfermasse lo slancio di una vita, della sua giovinezza, di una generazione. Un’opera senza risparmio di dati, fatti, informazioni circostanziate che non mancherà di essere consultata da storici, studiosi, analisti di diversi campi. Fabrizio Tommaselli, però, l’ha scritta soprattutto per chi vorrà, dovrà continuare a decollare dal suolo e sottosuolo dell’esistenza, delle sue necessità, per arrivare allo sguardo non dal, ma del, dentro il cielo. Lo sguardo che dietro le nubi del conflitto squarcia l’orizzonte di un’altra storia inedita. Quella di chi lavora in cielo senza gli possano più rubare la carlinga in volo. E questo come metafora della stessa aspirazione umana alle ali della dignità e della giustizia.

di Riccardo Tavani