Chiedi poco… otterrai molto, non chiedere niente… sarai libero

Nel 1969, Vezio Bagazzini, classe 1942, aprì un piccolo bar a Roma, in Via dei Delfini 23, tra Piazza Margana e Via dei Funari, proprio dietro la sede centrale del P.C.I., il Bottegone, come i frequentatori chiamavano affettuosamente la sede del Partito Comunista Italiano. Credo che chiunque abbia avuto la possibilità di recarsi alla sede nazionale del P.C.I. si sia preso un caffè al bar di Vezio ed abbia avuto la possibilità di incontrarvi gli abituali frequentatori: Enrico Berlinguer, Giancarlo Pajetta, Massimo D’Alema, Valter Veltroni, Achille Occhetto, Petroselli, Angius, Mussi e moltissimi altri dirigenti di allora; per non parlare delle foto affisse alla parete e delle dediche che molti hanno voluto lasciare in quel luogo della attuale memoria. Sulla parete di sinistra avresti trovato le foto di Togliatti, Pajetta, Longo, Secchia, Amendola, Pio la Torre, Mao, Stalin, Guevara con Fidel, ed anche le foto di Vezio con Di Vittorio e con Enrico Berlinguer e poi le foto di quelli dello spettacolo che avevano voluto lasciare a Vezio una loro traccia: Gianmaria Volontè, Claudio Villa, Ursula Andress, Raz Degan, Roberto Benigni.

Vezio, a mo’ di seguace epicureo, nonostante amasse ripetere che “è bene riflettere sulle cose che possono farci felici: infatti, se siamo felici, abbiamo tutto ciò che occorre; se non lo siamo, facciamo di tutto per esserlo”, aveva una sua precisa filosofia di vita e di esistenza etica, non amava chiedere, perché teneva alla sua libertà ed infatti sulla famosa parete di sinistra aveva affisso questo breve aforisma: “Chiedi poco…otterrai molto. Non chiedere niente…sarai libero”. Così come non disdegnava di ricordare il suo passato ed anche il suo presente di borgataro e di proletario che aveva immortalato in una scritta ad un tempo ironica, didascalica e di denuncia delle condizioni di vita della povera gente: “SIAMO TALMENTE MORTI DI FAME CHE QUANDO DIVENTEREMO POVERI FAREMO UNA BELLA FESTA”.

E sempre lì, in quella Via dei Delfini 23, ebbe occasione di battibeccare con un dirimpettaio del suo bar che non gradiva quella sede piena di simboli di quel Partito di senza Dio e di scomunicati. Vezio non volle tradire le sue origini proletarie di borgata ed allora gli rispose con un comunicato (un nostro cartellone) che si limitava ad un innocente sfottò: Sei talmente brutto che non fai ride manco li sofficini.

Dopo la decretata fine del P.C.I. e la trasformazione in PDS il bar Vezio, nonostante rappresentasse un momento di storia vissuta e malgrado le pressioni di un largo gruppo di frequentatori, fu costretto a chiudere e nel 2003 si trasferì in Via Tor di Nona e la gestione continuò fino al 2009, nonostante Vezio versasse in pessime condizioni economiche e di salute. Un assistente penitenziario si prese cura di lui e raccontò che Vezio era afflitto dal morbo di Parkinson e che viveva ormai in quella tragica condizione del morto di fame, senza neanche la pensione. Morì il 21 aprile di 10 anni fa a 69 anni.

Un uomo che aveva conosciuto i politici tra i più potenti del suo tempo, un uomo che aveva fatto l’arbitro durante le partite di calcio tra Berlinguer, Angius, Mussi, D’Alema, Veltroni e molti altri, un compagno che aveva potuto ironizzare su Veltroni, dicendo che pur non essendo molto agile tra i pali aveva un grande senso della posizione…e sullo stesso Berlinguer, prendendolo in giro perché era solo bravo di…destro. Quell’uomo, fedele al suo motto “non chiedere niente…sarai libero” era morto povero e senza pensione a 69 anni all’Ospedale San Camillo di Roma.

Vezio, inutile dirlo, ci fa pensare ad Italo Calvino ed alla sua frase “forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi”.

Non credo assolutamente di mancare di rispetto a Vezio ed a quanti hanno scritto la storia del nostro Paese, specialmente da un secolo a questa parte, se certi racconti mi richiamano alla memoria la vita e le vicende di uomini che abbiamo conosciuto o dei quali abbiamo soltanto sentito raccontare alcune storie. Certe storie e certe vite non possono e non debbono cadere nell’oblio della coscienza collettiva e noi, che della nostra terra abbiamo vissuto una larga fetta di storia recente, sapremo fare in modo che le giovani generazioni conoscano il ruolo che alcuni hanno magistralmente saputo espletare in difesa della democrazia e della tutela dei diritti dei lavoratori.

di Pietro Lucidi

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