Una donna tra le donne. La solidarietà al femminile
Parto da una notizia uscita di recente sui giornali. Suor Paola Vizzotto ha 81 anni, un giorno a settimana, a causa delle restrizioni dettate dal Covid e poi anche la domenica per l’Eucaristia, percorre un chilometro a piedi, poi sale su ben tre metropolitane, la C, la A e la B e infine su un autobus per entrare nel penitenziario romano, per ascoltare le detenute del carcere femminile di Rebibbia. Con loro si sente se stessa, ognuna si fa carico dell’altra, delle paure, dei sentimenti, della fede, della rabbia. Emozioni che si condividono, consigli che si danno. Loro sono dentro e lei è fuori e questo le trasmette un maggiore desiderio di amarle e supportarle. Non sa neanche il perché siano in carcere, spesso non conosce i reati commessi, perché il reato è un loro problema e se devono pagare il conto con la giustizia, il suo compito è invece quello di aiutarle a viverlo positivamente. Così si abbracciano come si fa tra madre e figlie. Sono tutte le sue figlie. Un gesto di affetto, di amore che rende felici tutte, compresa Suor Paola perché questo significa che il loro cuore è ancora vivo e hanno compreso che qualcuno le ama senza giudicarle. Lei lascia un segno nella vita di queste donne. L’affetto. E la scoperta di possedere dignità e valore, di godere dell’amore di Dio.
Indubbiamente una storia commovente, una vocazione rara. Ciò che rende questa storia ancora più toccante è l’età di Suor Paola che attraversa la città per regalare gioia, sorrisi, abbracci, racconti, consigli, amore.
Per disegnare il mondo di fuori ed educarle a guardarlo con occhi diversi, a rispettare se stesse per rispettare gli altri e tutto ciò che ci circonda, perché ognuna di loro, un domani potrà essere una piccola Suor Paola, può allungare una mano verso chi soffre, può ascoltare chi urla la sua rabbia di vita, può donare ascolto senza giudicare, può amare e abbracciare, può sorridere a chi ha un forte dolore dentro, può dare una carezza per asciugare una lacrima.
Perché anche i cuori più induriti da tragiche esperienze, da vessazioni, soprusi, violenze e contesti famigliari malati, se iniziano a ricevere amore, considerazione, attenzione, ascolto e rispetto allora cominciano a sgretolarsi lentamente. Quella maschera di ferro indossata come protezione per non sentire più il male, il dolore, per non vedere più il sangue che dentro lacera ferite mai suturate, alla fine inizia a frantumarsi, a sfaldarsi, a sciogliersi facendo andar via il primo strato di umana protezione ad una vita che ha solo tolto senza mai dare.
E’ così, con certosina pazienza e abilità emotiva, che si può insegnare ad amarsi per amare. Amare sempre, tutto e tutti, esserci per chi ha bisogno, in ogni modo, in ogni forma ma esserci.
Se qualcuno lo ha fatto con noi e per noi, saremo in grado di farlo con gli altri e per gli altri.
di Stefania Lastoria