Israeliani e palestinesi, la pacifica convivenza potrà fare la differenza

Lo Stato di Israele tratta i palestinesi come “un gruppo razziale inferiore”. Lo afferma Amnesty International unendo la sua voce a quella di altre organizzazioni umanitarie che da tempo denunciano uno stato di apartheid.

Lo scorso anno era stato il gruppo per i diritti umani B’Tselem, un’organizzazione israeliana non governativa, ad affermare che le politiche israeliane erano state progettate per rafforzare la “supremazia ebraica dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo” e che quindi meritavano di essere definite come apartheid. Anche Human Rights Watch, in un rapporto dell’aprile 2021, ha sollevato la stessa accusa.

Per Agnes Callamard, segretario generale di Amnesty, le “crudeli politiche di segregazione, espropriazione ed esclusione di Israele in tutti i territori sotto il suo controllo equivalgono chiaramente all’apartheid”.

I palestinesi, continua Callamard, “che vivano a Gaza, a Gerusalemme Est, nel resto della Cisgiordania, sono sistematicamente privati ​​dei loro diritti”.

l rapporto di Amnesty è stato respinto con sdegno dal ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid che lo definisce come “fuori dalla realtà”. Lapid, inoltre, accusa Amnesty di aver fatto da cassa di risonanza a false informazioni diffuse da organizzazioni terroristiche e di perseguire un’agenda antisemita.

Per Ronald Lauder, presidente del World Jewish Congress, il rapporto di Amnesty non offre una via costruttiva da seguire e non persegue la promozione dei diritti umani dei palestinesi ma “servirà, come precedenti rapporti, solo per alimentare i fuochi degli antisemiti con il pretesto della correttezza politica”.

Callamard ha ribattuto alle accuse affermando che “una critica alla pratica dello stato di Israele non è assolutamente una forma di antisemitismo” e che Amnesty International si oppone fermamente all’antisemitismo e a qualsiasi forma di razzismo.

Ha anche aggiunto che il rapporto non intende confrontare il trattamento riservato da Israele ai palestinesi con le condizioni della popolazione nera nel Sud Africa nell’era della segregazione razziale, ma valutare se le politiche israeliane, secondo il diritto internazionale, soddisfano i criteri per il crimine di apartheid.

La Convenzione sull’apartheid definisce questo crimine come “atti inumani commessi allo scopo di stabilire e mantenere il dominio di un gruppo razziale di persone su qualsiasi altro gruppo razziale di persone e di opprimerlo sistematicamente”. Simile la definizione della Corte penale Internazionale ce nello Statuto di Roma parla di “atti disumani… commessi nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e dominio da parte di un gruppo razziale su qualsiasi altro gruppo o gruppi razziali e commessi con l’intenzione di mantenere quel regime”.

Per il diritto internazionale, quindi, l’apartheid si compone di tre elementi primari: l’intenzione di mantenere un sistema di dominio di un gruppo razziale sull’altro, l’oppressione sistematica da parte di un gruppo razziale su un altro e uno o più atti disumani compiuti su base diffusa o sistematica allo scopo di conseguire tali politiche.

La Convenzione e lo Statuto di Roma individuano tra gli atti disumani il trasferimento forzato, l’espropriazione di proprietà fondiarie, la creazione di riserve e ghetti separati, la negazione del diritto di partire e di tornare nel proprio paese, il diritto alla cittadinanza.

L’accusa, quindi, afferma che, al fine di raggiungere i suoi obiettivi, il governo israeliano discrimina istituzionalmente i palestinesi. Nei territori occupati i palestinesi sono trattari in modo separato e ineguale rispetto ai coloni ebrei israeliani. Nella Striscia di Gaza la chiusura generalizzata limitando drasticamente la circolazione di persone e merci. A Gerusalemme Est, che Israele considera parte del suo territorio sovrano ma rimane territorio occupato secondo il diritto internazionale, la maggioranza palestinese vive uno status legale che riduce i loro diritti di residenza.

E, ovunque, avvengono confische di terreni su larga scala che spesso non rispondono a legittime esigenze di sicurezza. In gran parte della Cisgiordania vengono rifiutati i permessi di costruzione. Il diritto di ritorno è negato. Diritti civili fondamentali come la libertà di riunione e di associazione sono negati.

Amnesty ha invitato la Corte penale internazionale – che sta conducendo un’indagine sui possibili crimini di guerra commessi durante l’aggressione israeliana a Gaza nel 2014 – ad allargare la sua inchiesta al reato di apartheid.

Anche se dovesse ottenerlo, non basterà una sentenza a cambiare lo stato delle cose. Solo la crescita, su entrambi i fronti, di individui e organizzazioni interessate alla pacifica convivenza potrà fare la differenza.

di Enrico Ceci

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