Storie di vita dal Norte del Cauca, Colombia

Quando sono stato in Colombia, nel 2010, una delle cose che mi colpì maggiormente fu notare le tantissime cartacce per le strade dello stesso liquore da quattro soldi con cui la gente letteralmente si ammazzava.

La vita della gente qui è dura, mi veniva spiegato, per cui, quando possono, le persone usano queste bustine piene di alcool da 40/50 gradi per stordirsi un po’ e concedersi qualche ora in cui dimenticare che domani è un altro giorno.

Sono stato nel Norte del Cauca, a visitare le missioni che, da decenni, la Onlus per cui lavoro, Italia Solidale, porta avanti con le popolazioni locali, soprattutto afro e Nasa.

Il Norte del Cauca era una delle miniere d’oro del Cartello di Medellin, celeberrima organizzazione criminale fondata da Pablo Escobar, dominante sul mercato della coca dagli anni 70 agli anni 90 del XX secolo. Essendo una terra molto fertile, verde, il Cartello, in stile multinazionale, la trasformò, sostanzialmente, in una terra di coltivazione intensiva di droga, soprattutto di marijuana e cocaina.

Ancora oggi, l’ho constatato più volte personalmente, se si fa agli abitanti del luogo il nome di Pablo Escobar, si vedrà il loro volto letteralmente sbiancare, perché il regime di terrore da lui costituito in tutta la Colombia fu una piaga difficilmente comprensibile per chi non l’ha vissuta.

Quando cadde Escobar, il Potere di Medellin si frammentò, avviando una fase di aspra contesa e lotta per la detenzione dei traffici più redditizi del mercato della droga. I contendenti più forti furono, come è risaputo, il Cartello di Cali e quello della Valle del Norte, che trasformarono, insieme alle organizzazioni paramilitari, la terra colombiana in una polveriera, costringendo la gente, gli umili, i semplici, a vivere da schiavi dei cartelli o delle multinazionali, non di rado spalleggiate ambiguamente dal Potere di nazioni straniere.

Mia madre ha iniziato a lavorare in Colombia, passandoci ogni anno due mesi all’anno, a partire dall’inizio degli anni 2000, continuando, anno dopo anno, un lavoro come responsabile della Onlus Italia Solidale in quelle zone che porta avanti ancora oggi, ventitré anni dopo.

Mia madre, cioè, ha avviato la sua attività lavorativa in Colombia in un momento in cui, in quel paese e soprattutto nel Norte del Cauca, i tre grandi cartelli Narcos di Medellin, Cali e Valle del Norte finivano di farsi guerra e lasciavano il passo ad altre organizzazioni molto più frammentate, meno organizzate, meno “intelligenti”, e quindi più pericolose.

Mia madre, come responsabile delle missioni che Italia Solidale ha in Colombia, da vent’anni sostiene le persone, le famiglie, le comunità di quelle zone, soprattutto i più poveri che sono gli indigeni Nasa o gli afrocolombiani, a credere in sé stessi, nelle proprie potenzialità, e a fare insieme un cammino interiore che, dal cammino personale, porti alla indipendenza economica e alla missionarietà.

Tra i tanti esempi di vite migliorate, arricchite, trasformate, grazie al lavoro di Italia Solidale nel Norte del Cauca, c’è quella di un capo locale delle comunità Nasa, chiamato Climaco, il quale, impegnato nelle missioni di Italia Solidale, venne ucciso nel 2007 perché incoraggiava le famiglie e le comunità della zona a non lavorare nei campi della droga dei cartelli, ma ad attivare progetti autonomi e creativi.

Dopo Climaco si sono susseguiti altri responsabili locali delle missioni tra cui, attivo ancora oggi, Reinaldo Pilcue, che ha recentemente raccontato la sua storia di rinascita in un incontro internazionale in occasione del 91esimo compleanno del presidente e fondatore di Italia Solidale, p. Angelo Benolli.

Reinaldo era uno di quelli che si stordiva con l’alcool locale, da cui aveva sviluppato una fortissima dipendenza. Oltre a consumarlo, lo fabbricava e lo smerciava, per fare più soldi, tra amici e conoscenti. Sempre ubriaco, violento in famiglia, Reinaldo era fonte di sofferenza acuta per sé stesso, sua moglie, i suoi figli, che si riempivano di traumi, panico e paura.

Il percorso di Reinaldo, da lui stesso spiegato in un recente articolo in cui racconta la sua storia in modo dettagliato, ha significato prima di tutto guardarsi dentro e scoprire che tutta la sofferenza del suo paese, del suo popolo, della sua famiglia, gli era entrata dentro e lo aveva portato a soffrire e far soffrire a sua volta le persone a lui più care; per poi non fermarsi solo all’introspezione ma aprirsi contemporaneamente a rinnovate relazioni con la famiglia, con le comunità della zona, e con tutta la realtà intercontinentale di Italia Solidale.

Reinaldo Pilcue, che oggi non beve più, ha preso il posto di Climaco e ne ha raccolto l’eredità.

Oggi è lui, insieme ad altri, a sostenere le famiglie del Norte del Cauca a lasciare i lavori da schiavi offerti dai Cartelli nei campi della droga, e a incoraggiarle ad avviare, mediante le specifiche modalità di sostegno della Onlus Italia Solidale, attività creative di lavoro e di sussistenza.

Giacomo Fagiolini

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