Dall’Osteria al Social

Viviamo un particolare e sicuramente unico periodo della nostra esistenza, gravido di preoccupazioni e di reali pericoli, angosce, paure e polemiche, tante polemiche, spesso fuori luogo ed assistiamo ad affermazioni che il tempo si premura di smentire nel breve volgere di settimane, se non di giorni.

Eppure, se non il particolare morbo che abbiamo denominato Coronavirus, altri mali hanno storicamente afflitto il nostro paese. Non certamente ultimo, nella prima metà dell’Ottocento, si verificò un colera in Europa e nell’allora Stato Pontificio si diffuse nella città di Ancona.

A quel morbo, nel 1833, Gioacchino Belli dedicò ben 34 sonetti. Ovviamente non mancavano, allora come oggi, quelli che sapevano tutto, quelli che avrebbero saputo come evitarlo e quelli che, in quattro e quattr’otto, avrebbero risolto la situazione. Non c’erano i cosiddetti social ma erano validamente sostituiti dalle osterie e quella della Genzola svolgeva egregiamente il compito dovuto. Ovviamente, mentre il colera era reale, radio osteria manifestava tutta la sua incredulità ed attribuiva le morti a scorpacciate di funghi, lumache, fichi e addirittura alle pere. Il Papa inviò un medico, tal Raimondo, che non scampò agli strali dell’osteria, perché chi parlava sapeva bene che ad Ancona anche i facchini morivano per la fame, essendo stato informato da ‘na riverea, un servitore di un certo Monsignore.

ER COLLERA MORIBBUS

Conversazzione a l’Osteria de la Ggenzzola

Perché nnun c’erano antri guai stasera
Scappeno fora cor collèra a Ancona
Mò, ammalappena una campana sona,
sona a mmorto, e sto morto è de collèra.

Sarà ccrepata ar più cquarche pperzona
De fonghi o dde lumache o ffichi o pera…
Ebbè ddich’io sc’erabbisoggno, sc’era,
de tutta sta chiassata bbuggiarona?

Nun zerve, cqua er collèra, sor Raimonno
Se lo vanno a ccercà ccor moccoletto
Lo chiameno, per dio, proprio lo vonno.

Quer ch’è ccerto è cc’a Ancona li facchini
Se moreno de fame, e me l’ha detto
‘na riverea de Monziggnor Pasquini.

Dalla Sanità vaticana alla Sanità repubblicana

Impazzano le polemiche sui tagli alla sanità, rimpallandosi accuse reciproche, ignorando tutto ciò che è stato, da lor signori, sostenuto appena fino ad un paio di mesi fa. Tutti dimenticano che il problema era, almeno per loro, la compatibilità finanziaria con il patto di stabilità, con gli equilibri di bilancio e via cianciando. Quella grandissima riforma del Servizio Sanitario Nazionale è stata, piano piano, e da tutti, parzialmente smantellata a tutto vantaggio di una sanità privata che adesso è sparita, semplicemente non c’è per i più poveri. Resterà qualche ricordo dei vantaggi loro concessi in tutti questi anni o semplicemente, passata la bufera, tutto ritornerà come prima? Si ritornerà ancora a gridare che privato è bello? Anche noi siamo favorevoli al privato, ma non al privato che svolge un servizio a favore di pochi e con i soldi pubblici dei molti. Ha detto bene Gino Strada, fondatore di Emergency: i privati facciano il loro lavoro ma senza un euro dei soldi pubblici! Quello stesso Gino Strada che è stato, fino ad oggi, riempito di gratuite ed infondate accuse e contumelie sui social. Eppure Emergency ha lavorato in Lombardia, ha contribuito con i suoi medici e con i suoi volontari a condividere con noi le loro professionalità, in modo gratuito e disinteressato.

Fedele alla verve popolare e popolana il Belli non poteva tralasciare i suoi dissacranti strali e ne fa un uso scoppiettante contro un certo Babilano. Elenca sei ospedali, ognuno specializzato in settori diversi, e finisce con criticare il Bbonfratelli (Fatebenefratelli) che non è Spedar de poverelli.

LI SPEDALI DE ROMA

Qua avemo sei Spedali, e tutti granni
che cce sei medicato e stai bbenone.
Si ttrovi cuarchiduno che scanni
Ciai lo Spedar de la Consolazzione:

Ciai San Giachemo, senza che tt’affanni,
si gguadaggnassi mai quarche bbubbone:
c’è Ssan Spirito poi e Ssan Giuvanni,
che ccura ammalatie d’oggni fazzione.

Hai la tiggna? Te pìa San Galigano,
dove tajjeno auffa li capelli.
Mejjo de Rondinalle er babbilano.

Finarmente sce so li Bbonfratelli:
Ma cqui nun po’ appizzacce oggni cristiano.
Cuesto nun è Spedàr da poverelli.

Forse, è cambiato poco. Sono trascorsi quasi due secoli e poco è cambiato. Forse è veramente ora di riconsiderare la nostra organizzazione sociale e le nostre priorità.
O no?

Pietro Lucidi

 

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