Brasile: prove tecniche di tramonto della democrazia nel mondo

L’America Latina è per antonomasia il continente del golpe militare compiuto dai vertici militari, quale tecnica per abbattere un governo in carica, sostituendolo con una dittatura. Quello che abbiamo visto in atto in Brasile i primi giorni del nuovo anno è qualcosa di diverso. Si potrebbe dire, infatti, che è un golpe dal basso, senza intervento di carri e soldati armati per le strade delle città e il bombardamento del palazzo presidenziale. Nel caso di Brasilia, militari e poliziotti, almeno una loro parte, si sono limitati a opporre una decisa rilassatezza, mentre i seguaci dello sconfitto ex presidente Bolzonaro invadevano le sedi delle più alte istituzioni nazionali.

Quello tentato da Donald Trump a Capitol Hill all’indomani della sua sconfitta elettorale, dunque, è stato non un atto isolato, ma il lancio di una vera e propria strategia mondiale. Non solo il Brasile, infatti, ma diversi altri Paesi dell’America Latina si vanno delineando come sede sperimentale di queste prove tecniche di golpe compiuti non più dall’alto ma dal basso. In Argentina, Cile e Perù la sperimentazione già procede a ritmo serrato. A settembre il fallito attentato a Buenos Aires contro la presidentessa Cristina Kirchner è solo l’atto più vistoso della propaganda dell’ultra desta per arrivare a vincere le prossime elezioni. E se – nonostante i sondaggi favorevoli – non dovessero vincerle lo schema d’azione è ormai già pronto all’uso. Schema – possiamo sterne certi – sempre meno sperimentale, ossia con un giro di vite incrementale in più. In Cile, dopo il Rechazo, ossia il respingimento referendario – cui purtroppo ha partecipato anche il centro-sinistra – della riforma costituzionale proposta dal giovane presidente Boric, il modello operativo è già altrettanto pronto per essere rodato dalla destra guidata da José Antonio Kast, sconfitto alle ultime elezioni presidenziali proprio da Boric.

In Perù – soprattutto – la destra, non accettando la propria sconfitta elettorale, è riuscita a inficiare la vittoria del presidente Pedro Castillo, arrivando a destituirlo, farlo arrestare, insediando l’autoproclamata Dina Boluarte, ex vicepresidente, ministro e transfuga dal partito Perù Libero, guidato proprio da Castillo. Qui, però, è avvenuto sì qualcosa dal basso, ma non nel senso opposto a quello previsto dallo schema Trump-Bolzonaro. Si tratta della fortissima resistenza che i peruviani stanno opponendo al rovesciamento del presidente da loro maggioritariamente eletto. Resistenza che ha scatenato la violenza repressiva della neo-presidentessa, accusata di genocidio per la lunga  di sangue sparsa in breve tempo.

La strategia del golpe dal basso, d’altronde, è stata messa a punto, in una conferenza di Acción Politica Conservadora, svoltasi a Città del Messico lo scorso novembre 2022. E che essa aspiri a superare i confini nazionali e continentali lo dimostra la partecipazione di esponenti europei e nordamericani. Tra essi il polacco Lech Walesa, lo spagnolo Santiago Abascal e l’ombra trumpiana, Steve Bannon. Quest’ultimo, vera e propria mente ideologica della strategia reazionaria mondiale, si è immediatamente precipitato a esaltare il basso-golpismo carioca, definendolo come “populismo che va oltre i loro leader”. Soprattutto sono noti, però, proprio i leader interlocutori europei e italiani di Bannon. Tra questi Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Tanto che in Italia aveva anche cercato di prendere casa, ossia di impossessarsi illegittimamente della storica Certosa di Trisulti nel frusinate, per eleggerla a sede europea della sua internazionale neo-golpista.

Quello che va messo in luce, però, è che tale intrigo di tecnici e tecniche d’eversione a bassa intensità  emergono su uno sfondo planetario che ha già cominciato a tingersi  dei colori

inequivocabili di uno struggente tramonto. E non di un tramonto qualsiasi, ma di quello della democrazia. Da una parte l’epoca della tecno-scienza non può che portare a un restringimento progressivo delle tradizionali categorie ideologiche, politiche e dei mezzi di governo, ivi compreso quel mezzo particolare che si chiama democrazia. Inevitabilmente diversi da questa, infatti, sono i meccanismi decisionali e operativi del suo sviluppo.

Dall’altra la crisi delle risorse energetiche, ambientali, climatiche mette a rischio gli equilibri naturali e la nostra stessa sopravvivenza sul pianeta. Così che sempre più ampio si fa il divario tra potenti e diseredati, tra accaparratori ed espropriati, tra estrattori violenti di risorse planetarie e reietti migranti del degrado da inquinamento e devastazione. Il capitalismo mondiale dopo aver fatto ricorso – fino a logorarlo – al mezzo di governo democratico per massificare la distribuzione e imposizione – anche come ideologia – delle sue merci, ora ricorre al muso duro della negazione brutale di redditi e diritti, prima sociali e ora pure ambientali. Ossia ricorre alla negazione della categoria di politica come progresso materiale e spirituale della condizione umana che ha contraddistinto storia e grandezza egemone della nostra civiltà sulle altre, approdando così davvero al tramonto dell’Occidente. O meglio al compimento pieno dell’Occidente come tramonto, risuonando l’occaso, il tramonto del sole, nella parola stessa di occidente.  

Un tramonto è dunque inarrestabile, non si può invertire, contravvenire. Esso ingoia ossessioni e illusioni. Neo-golpiste e tardo-democratiche. Si può soltanto attendere l’aurora, una nuova alba. E questa attesa non può essere che testimonianza, pensiero e tessitura di una diversa civiltà e Costituzione, inevitabilmente planetaria, con un senso e una pratica della giustizia che non siano più basate su forza e delirio della potenza umana, ma sul pieno riconoscimento di ogni intramontabile aspetto e diritto d’ogni esistente.

Riccardo Tavani

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