Palestina Israele, lacrime e guerre

“Il mondo è una valle di lacrime, anche per quelli che sperano tanto in esso”, recita l’Ecclesiaste, capitolo 2, versetti 18-26. Mai sentenza biblica è stata più vera, soprattutto in Terra Santa, ossia dove tale è originata ed è stata scolpita. Le lacrime, infatti, segnano, seguono e precedono le guerre, ma non le fermano. Guerre e lacrime, anzi, sono come le ciliegie, una tira l’altra. Dal conflitto Russa in Ucraina, a quello in Sudan, Etiopia, in Nagorno-Karabakh, a quello in via di totale deflagrazione in Israele e Palestina. Per non parlare del grappolo di recentissimi colpi di Stato militari in Africa. Le lacrime sono contagiose, le guerre ancora di più. Quando più un equilibrio mondiale si incrina, scricchiola, tanto più c’è chi avverte la necessità o vede la possibilità di approfittare dello scompiglio, dello spariglio, per assestare proibiti colpi sotto la cintura, e assestare così meglio sé stesso, ossia allargarsi.

Il punto non è in che modo, quanto, con quale intensità distruttiva Israele attui la guerra di risposta alla massiccia e spietata aggressione di Hamas. Il punto è se alla fine anche del bombardamento più sistematicamente a tappeto volante, del cingolamento, cannoneggiamento, polverizzazione, persino liquefazione, d’ogni singola trave, solaio, pietra di Gaza il conflitto sarà davvero – risolto. O se dopo il terzo giorno, simbolicamente come il Cristo dal sepolcro, esso non sarà invece – risorto. Non perché Hamas, Hezbollah, Jihâd, Isis non possano essere – prima o poi – completamente spazzati via. E neanche perché – parafrasando Tacito – non si possa fare di Gaza un deserto e chiamarla pace. Ma perché non si può annichilire, sbriciolare in granelli di sabbia del deserto una contraddizione che è innanzitutto logica, e poi – di conseguenza – anche materica, tangibile, storica, politica. Ed è questa non una contraddizione specifica, geo-politicamente localizzata, ossia delimitata a quella zolla di terra e democrazia chiamata Israele, dislocata al confine della grande, ribollente Umma islamica.  

No, la contraddizione è dell’intero Occidente, di cui Israele viene a rappresentare la concrezione politico-statuale più drammaticamente bruciante. Lo abbiamo più volte richiamato in questa rubrica. Dalla sua prima fondazione ad Atene, tra il V e IV sec. a. C., la democrazia ha continuato sempre a basarsi sulla contraddizione interno-esterno. Un interno costituito da una minoranza privilegiata (il 10% della popolazione di Atene), e un esterno escluso, ma sulle cui spalle materialmente gravava il costo del benessere fisico e spirituale della minoranza. La privilegiata acropoli ateniese si è storicamente espansa all’intero Occidente, non più al di qua e al di là del Mediterraneo, ma dell’Oceano Atlantico. Il resto del mondo ha rappresentato l’esterno escluso da cui saccheggiare risorse umane e naturali. Proprio l’Inghilterra e poi l’America del Nord, ossia la prima democrazia in età moderna e quella oggi più grande, più ricca e potente, con l’impero dell’una e l’imperialismo dell’altra, hanno rappresentato al massimo grado tale instrumentum regni, nella sua coniugazione democratica. Saccheggio di risorse che si è esteso alla razzia e riduzione a brutale schiavitù lavorativa di milioni essere umani, per rendere economicamente, socialmente florido il privilegiato la frontiera interna delle democrazie occidentali. Frontiera, però, che con la dominazione sempre più spinta della tecno-scienza va progressivamente riducendo i margini delle sue forme e sostanzialità politiche, soprattutto in termini di eguaglianza e diritti. 

Non si può certo negare che al di fuori di tale confine spadroneggino dittature, assolutismi, integralismi feroci, di cui sono espressione anche i tagliagole di Hamas entrati spietatamente la settimana scorsa in azione contro Israele, i suoi cittadini, i suoi bambini. Fuori di quella frontiera, però, dilagano soprattutto ognuna di quelle singole lacrime che insieme confluiscono nell’oceano di miseria, carestia, sofferenza umana e ambientale. Ed è proprio di tale irruente flusso di lacrime che si alimentano le turbine d’odio antioccidentale dei sanguinari regimi liberticidi. Possiamo girarla come vogliamo, ma da questo non si scappa. E sulla fragile, striminzita frontiera d’Israele si abbatte proprio tutto l’immane peso di tale storico processo di civilizzazione planetaria.

Neanche le nostre lacrime d’implorazione per una nuova Onu, fondata su un’Unione dei Paesi Giusti del Mondo, può fermare quest’ultima atroce guerra esplosa in Terra Santa. La nostra, infatti, può essere solo la testimonianza di una necessità, di un destino non di santa, ma di terrena giustizia per la coscienza e l’esistenza d’ogni individualità e popolo.

Riccardo Tavani

 

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