Una donna chiamata Maixabel

di Riccardo Tavani

Il filosofo francese Jacques Derrida scrive che esiste una sola autentica forma di perdono: quella di perdonare proprio ciò che non è possibile in nessun modo di perdonare. Perdonare, infatti, significa donare completamente, senza contropartita, compensazioni di alcun tipo, per dono puro.  

Maixabel Lasa oggi ha 72 anni. Nata nel 1951 in Spagna, a Legorreta nel Paese Basco, qui cresce politicamente insieme al suo coetaneo Juan Maria Járegui. A 24 lo sposa, e ha con lui una figlia, ma a 49 lo perde. Eta, la formazione politica basca armata, lo uccide. Eta, sta per Euskadi Ta Askatasuna, Paese Basco e Libertà. Járegui vi milita da giovane, a seguito della condanna a morte di sette suoi appartenenti fatta eseguire dalla dittatura fascista del generale Francisco Franco. Poi, nel 1973, entra nel Partito Comunista, e nel 1980 passa al Partito Socialista. Eletto nel 1994 Governatore Civile della Provincia di Guipúzcoa, capitale San Sebastián, è più volte preso di mira da Eta, tanto che deve lasciare la Spagna con un incarico professionale nelle Canarie. Per celebrale le sue nozze d’argento con Maixabel, rientra ed è ammazzato da Eta, in pieno giorno dentro un bar della città basca di Tolosa.

L’evento tragico segna ancora tutta la vita di Maixabel Lasa dal quel preciso giorno a oggi. Lo racconta il film che reca il suo nome, Una donna chiamata Maixabel. Ne è autrice la regista spagnola Icíar Bollaín, che è anche compagna di Paul Laverty, lo storico sceneggiatore di Ken Loach. Maixabel, nella sua attività di rappresentante delle famiglie vittime della violenza, prima solo politica, poi anche carceraria, poliziesca, si trova negli anni successivi a confrontarsi con il percorso della cosiddetta giustizia riparativa. È l’incontro diretto tra le vittime e i loro ofensores, secondo il termine usato in questo tipo di pratica. Chiede di incontrarla Luis Carrasco, proprio uno degli esecutori della messa a morte di suo marito Juan. Maixabel si trova così faccia a faccia non tanto e non solo con la persona, e poi anche le altre, che hanno distrutto la sua vita, quella della figlia, e di tante come loro. No, il vero vertiginoso confronto è con quel micidiale dilemma espresso da Derrida. Si può, infatti, davvero giungere a quell’unica forma di perdono che è perdonare proprio e soltanto ciò che non si può in nessun modo perdonare? O quale altra via, dialogo è possibile tessere per giungere a un risultato di giustizia che colmi in qualche modo una voragine rimasta aperta nel tessuto vivo della vita sociale? Per ridare una seconda possibilità alla civiltà stessa?

Già nell’accettare di iniziare questo cammino Maixabel si trova ad agire anche contro una parte di sé stessa. Soprattutto, però, quando vince la propria resistenza è l’incomprensione, l’ostilità delle persone a lei più vicine a ostacolarla. Inizialmente anche di sua figlia, poi della sua migliore amica, la persona che le è stata sempre accanto nei momenti più duri e che ora l’abbandona, sentendosi tradita, per il tentativo di dialogo intrapreso da Maixabel. Il film mette in gioco una sequenza di sentimenti, emozioni, analisi, riscontri logici e politici di una precisione tale da scandire i ritmi di una suspense esistenziale superiore a quella di qualsiasi noir. Anche grazie all’interpretazione di Blanca Portillo e Luis Tosar nei ruoli dei protagonisti antagonisti Maixabel Lasa e Luis Carrasco.

Vincitore di tre premi Goya 2022, è stato presentato al Cinema Farnese di Roma, nell’ambito del Festival de Cine Español y Latinoamericano. Indimenticabile il partecipato incontro con il pubblico romano di Maixabel Lasa e della regista Icíar Bollaín.

 

 

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