L’orrore della tratta: giovani e donne “invisibili” tra noi

E’ un fenomeno sempre più in aumento, pandemia e conflitti stravolgono il volto del racket di vite umane, nascoste tra le mura e nel web.

Se solo si volesse “vedere”. Perché non solo loro sono vittime “invisibili” ma anche noi che non guardiamo, che non vogliamo vedere, che giriamo lo sguardo altrove siamo conniventi, forse vittime di noi stessi e di quella paura che sempre più ci allontana dagli “altri”.

Un mondo sempre più cieco.

Eppure tante ragazze camminano ai bordi delle nostre strade, un passo alla volta, avanzano “come morte”, uccise dentro, prive di speranza, senza una luce che possa far vedere loro un barlume di futuro.

Così come gli schiavi nei campi e nei cantieri, lo sguardo spento, la morte nel cuore. Quante vittime della tratta di esseri umani vediamo e quante pur volendo non possiamo osservarle perché sfruttate al chiuso di case diventate tortura ed ergastolo.

Almeno finché qualcuno non pronuncia quelle parole, «alzati, cammina, noi rimarremo al tuo fianco». È esattamente ciò che fanno le associazioni impegnate contro il commercio di esseri umani, una piaga sempre più estesa, i cui dati emergono drammaticamente in occasione della Giornata mondiale contro la tratta di persone, che ricorre come ogni anno il 30 luglio.

«Il 2022 è stato uno degli anni più impegnativi a causa delle tante guerre in corso, dell’impatto della pandemia da Covid-19 e dei cambiamenti climatici», fa sapere Talitha Kum (in aramaico le due parole pronunciate da Gesù che appunto significano “fanciulla alzati”), la rete globale di suore e partner alleati, fondata nel 2009 dall’Unione internazionale delle Superiore generali (Uisg). Da allora Talitha Kum, che è diventata una fonte di reti internazionali, è attiva in 97 Paesi e raggiunge 560mila persone nel mondo, in fitta e costante collaborazione con le altre religioni.

Va detto che le nuove forme di schiavitù sono fortemente connesse alle discriminazioni di genere e al proliferare della povertà, le due principali condizioni su cui si alimentano le attività criminali.

È evidente che più le persone sono messe all’angolo da miseria e fragilità, e più saranno vulnerabili, facile preda di trafficanti e sfruttatori.

Un cambiamento globale, che però passa attraverso le singole storie: non letteratura ma vite vissute. Come quella di Jessie, proprietaria di un piccolo chiosco alimentare in Uganda, abbagliata dalla promessa di un lavoro più remunerativo in Medio Oriente e invece diventata vittima di schiavitù domestica: lavoro sfiancante, senza paga alcuna e senza cibo.

Non basta, come sappiamo, denunciare e fare report, se poi non si concretizzano percorsi di liberazione. Come quelli che l’associazione Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi attua fin dal 1990, quando l’arrivo massiccio di migranti dall’Albania e dalla Nigeria aumentò repentinamente il numero delle vittime di tratta. Fu don Benzi in persona a fondare il servizio antitratta con la cosiddetta “condivisione di strada”, cioè incontrando le ragazze costrette alla prostituzione, andandole a cercare e offrendo loro, subito, se solo lo volessero, una via d’uscita.

Il dialogo con donne e bambini di strada si è poi diffuso in molte parti del mondo e con diverse modalità, per ridare un’occasione di riscatto a ogni persona, che in quanto tale non può essere considerata una merce.

Paradossalmente durante il Covid i traffici non si sono mai arrestati, ma viste le restrizioni si sono riorganizzati indoor, ovvero non più in strada, il che rende più difficile intercettare le vittime. Le ragazze, non più “esposte” sui marciapiedi, si offrono attraverso i social e sui siti, ma restano sempre schiave, gestite e controllate da trafficanti.

Sempre più diffuso è il metodo “lover-boy”, da tempo diventata la principale tecnica della tratta interna: «Il fidanzato finge una relazione amorosa con la ragazza per annullare la sua identità, la conduce in una spirale di assoggettamento tale da indurla a qualunque atto sessuale senza che risultino segni di costrizione, e a lungo andare la percezione della violenza subìta viene meno. La violenza psicologica ed economica costruita dal “lover-boy” fa credere alla vittima che il suo sacrificio garantirà un progetto familiare che in realtà non esiste, lo stesso metodo è infatti utilizzato con più donne in contemporanea».

Sfruttamento lavorativo, schiavitù sessuale, costrizione all’accattonaggio, adescamento on line, trappole mortali contro le quali l’associazione di don Benzi è impegnata su tutti i fronti: prevenzione innanzitutto, e poi incontro delle vittime con le unità di strada e le équipe indoor, accoglienza con tanto di assistenza legale, psicologica, sanitaria e formazione a un lavoro.

Perché le vittime della tratta non vogliono essere consolate ma semplicemente liberate.

Stefania Lastoria