La voce sociale del teatro

Il vero teatro non è il teatro ma l’anima che lo rappresenta, con tutte le sue sofferenze, gioie, attese, delusioni, drammi, vittorie e sconfitte. Il teatro è l’essenza stessa della vita, consumata sul palcoscenico della quotidianità. Il teatro, quello vero che strappa l’applauso del pubblico è un insieme di sofferenze condivise dietro le quinte. Il teatro quello improvvisato, nasce dentro la fragilità dei teatranti, donne e uomini, che si consumano sulle scene trascinandosi dietro i bagagli del vivere alla giornata.

Elena Bucci e Marco Sgrosso, al teatro Vittoria di Roma, non recitano, ma si raccontano. Raccontano la storia del teatro da fine ottocento al primo dopoguerra, omaggiando le grandi donne del palcoscenico e i grandi uomini del palcoscenico. Una carrellata di vita vissuta in modo straordinario, girovagando di teatro in teatro, in modo instancabile, per trasmettere un amore per una professione che è una scelta di vita, senza la quale non poter vivere.

Due ore di passione, mimica, dialogo e monologo, attraggono lo spettatore, gli tolgono il fiato, lo riportano indietro nel tempo. Improvvisano, su un testo ben scritto e ben sincronizzato. Improvvisano senza nulla tralasciare al caso. Aprono il cuore ad un mondo reale che vive nel fantastico di ognuno. Richiamando la presenza, a torto dimenticata dal teatro attuale, delle grandi protagoniste e dei grandi protagonisti che hanno reso eterno il teatro. Una presenza di spirito forte, inesauribile, drammatica e ironica, messa a nudo dalla passione di sentirsi, non parte, ma teatro stesso, fatto di sipario, poltroncine rosse, polvere, chiodi, martello e pubblico. Sono essi stessi, il pubblico mentre recitano la loro vita vissuta che attraversa, condannandolo, il ventennio, il fascismo e il nazismo, rimettendo al centro la figura del teatrante che non abbassa la testa, ma rivendica la libertà di espressione con umile orgoglio.

Un finale straordinario, in cui Elena Bucci e Marco Grosso, rendono omaggio a Totò e Anna Magnani, facendo ascoltare l’originale delle loro voci. Un segno di rispetto, di umiltà, ma nel contempo di riconoscimento della forza inesauribile del teatro “all’antica” essenza stessa della condizione sociale altrimenti senza voce.

Claudio Caldarelli

 

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