L’irriverenza seppellisce il potere

ROMA – Spudorato, irriverente, sfacciato. Antonio Rezza, nel remake di Fotofinish in questi giorni al Teatro Vascello fino al 31 dicembre, non risparmia nessuno nella sua requisitoria contro tutto e tutti. Esilarante monologo-flusso di coscienza di due ore scritto a quattro mani con  la sua compagna Flavia Mastrella e sorretto dalla “spalla”  di Ivan Bellavista, Rezza si esibisce in una acida performance surreale. La voce ora roca ora in falsetto, l’unica sua regola sembra essere non avere regole. Rezza non è un attore nel senso classico ma sul palco può permettersi di fare tutto. Saltella, fa le smorfie, sbeffeggia, si denuda e si tocca, suda e lecca gli spettatori. La dice come la sente su tutto e su tutti: sullo stress della vita quotidiana, sul consumismo che divora l’uomo qualunque, sulla sanità che non cura ma fa ammalare, sulle banche che succhiano il sangue, sulla religione.  Ne risulta una delirante accusa contro l’umanità, contro l’individuo che si crogiola nella propria rabbia, nella cattiveria, mali secondo Rezza peggiori della “merda” che lui stesso finge di spalare dopo averla defecata con tanto di sedere nudo rivolto verso la platea. Un ritmo serrato dall’inizio alla fine, quello in cui Rezza affabulatore scomodo ma sincero, distribuisce  sferzate attraverso la sua spalla, un incarognito e bravissimo  Ivan Bellavista, munito di un lungo tubo di stoffa imbottita che maneggia con divertente crudeltà. Il pubblico, da parte sua, non è immune da tanta lucida e folle energia che il menestrello Rezza sprizza da tutti pori. Prima uno poi un altro, nel corso di questa lunghissima tirata, presto molti spettatori vengono trascinati sul palcoscenico e diventano parte di una grande messa in scena nella quale Rezza prende simbolicamente la parte dell’aguzzino imperialista: getta fagiolini che ricordano le caramelle del vincitore ai bambini del popolo sopraffatto, parla con la voce del dittatore, dà comandi, palpeggia le parti intime dei morti. Il pubblico è in delirio, ride, la scena è concitata. Ma ciò che smuove Rezza sono le grandi questioni della vita: il senso della storia, del progresso e della cosiddetta civiltà nata  contraddittoriamente dalla guerra. Apparentemente tanta satira, tanta acredine, quella di Antonio Rezza in Fotofinish. In realtà dietro questa performance che non dà tregua allo spettatore si celano le grandi domande sull’esistenza, sui rapporti umani e sui pregiudizi che li minano alla base. La sintesi di tanta caustica critica è invece nella riflessione che ne scaturisce. La  visione dura e cruda della realtà sparsa a mani basse, infatti, una volta “spalata” la cattiveria che è il  vero male dell’umanità, diventa catartica. Ed a quel punto il sorriso diventa più dolce perché da tutto questo, alla fine della performance, nasce la poesia. 

Gloria Zarletti

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