Cine-pillole aspettando primavera

Le avventure del Piccolo Nicolas. Delizioso mix narrativo d’animazione tra un celebre personaggio dei fumetti e i suoi due autori, lo scrittore René Goscinny e il disegnatore Jean-Jacques Sempé. Soprattutto la vita del primo è stata molto movimentata. Per cause razziali e belliche è dovuto espatriare a Buenos Aires e a New York, campando in maniera precaria di diversi lavori. Poi incontra Albert Uderzo e insieme diventano famosi in tutto il mondo con Asterix. Qui le Petite Nicolas, non fa neanche in tempo a essere immaginato e disegnato, che si mette subito a interloquire attivamente con gli autori, per mescolare le proprie avventure con i pensieri, le idee e i ricordi delle vite di quei due.

La natura dell’amore. Eros melò che prende chiaramente l’ispirazione da L’amante di Lady Chatterley, ma spostato, anziché nei boschi inglesi del 1920, in quelli canadesi di oggi. In un vecchio chalet boschivo, infatti Sofia – che con questo nome non può che essere una prof di filosofia –, per un sopralluogo, si ritrova sola insieme a un giovane carpentiere che lo deve ristrutturare. Suo marito Xavier è voluto rimanere in città per lavoro. Il carpentiere si chiama Sylvain, ossia Silvano, come altro se no, vivendo tra quelle selve? L’incontro causa un’immediata valanga erotica. I due diventano presto folli l’uno dell’altra, tanto che lei non può più nasconderlo a suo marito. Il tema, però, si sposta poi sul piano sociale, culturale: Sofia può davvero trovare in Sylvain quell’uomo che può completarla in tutto e che non aveva trovato in Xavier?

Enea. Pietro Castellitto, attore protagonista e autore, mostra notevoli e persino innovative capacità registiche, anche in quelle zone della sceneggiatura che convincono meno. Un notevole balzo in avanti dopo il suo esordio con I Predatori. Due bravi ragazzi, Enea e Valentino, con buone attività professionistiche, all’occasione si affiancano alla mala romana nello spaccio di non trascurabili partite di droga. Così che il film transita da uno spaccato crudo e ironico sulla borghesia romana, a scene da puro action movie. E dato che Valentino sta conseguendo il brevetto di pilota, anche con acrobatiche riprese aeree, una addirittura alla Twin Towers in vertiginoso avvicinamento all’ultimo piano di un alto palazzo vetro e cemento. Sguardo e stile troppo carichi, ancora incapaci di sedimentare una nitidezza di racconto e cinematografica, ma indubbiamente le capacità ci sono e si vedono bene. Come il film.

Past lives. Un altro melò – ma di livello originalmente contemporaneo – con una donna tra due uomini molto diversi tra loro. Uno di questi due uomini è Hang-seo che a Seul era compagno di scuola e fidanzato adolescente di Na Young. La famiglia di lei si trasferisce in Canada. Crescendo, lei poi va a vivere da sola a New York. Qui si afferma come scrittrice e sceneggiatrice. Di lui più niente per dodici anni. Poi si rintracciano via web, parlandosi fittamente tutti i giorni. Ma lei incontra un altro uomo, un americano, uno scrittore. In-yuan, in coreano è destino: non avviene a caso neanche che due persone si sfiorino appena nella folla. Ma di ognuno dei tre qual è il vero in-yuan?

Romeo è Giulietta. Il travestimento è uno degli archetipi del teatro fin dalla sua origine. Così anche del cinema. Vittoria riesce a strappare a uno dei più spietati registi italiani un ruolo da protagonista nella più famosa opera shakespeariana. Non la parte di Giulietta, però, ma di Romeo. Perché al provino si presenta travestita – non riconosciuta – da maschio. Ora tutta la progressione narrativa è concepita per successivi giri di vite. Ossia, mettere in difficoltà crescenti, via via funamboliche, iperboliche la capacità di Vittoria di reggere il ruolo di maschio. Non sul palco durante le prove, però, ma fuori la scena. Così anche se in travestì, vediamo in baci tra uomini, ma anche fra donne, che così lunghi in un film non si erano mai visti. Il finale è in questo senso una significativa trovata a sorpresa. 

Smoke Sauna – I segreti della sorellanza. Documentario meritatamente candidato agli Oscar. Nell’Estonia meridionale ci sono delle saune vicino ai laghetti, ai fiumi, ai boschi che sono protette dall’Unesco. In una di queste la giovane regista Anna Hints ha girato questo film sensibilissimo per narrazione e fotografia. I volti, le voci, le inquadrature sono di sole donne che tra i vapori della sauna si mettono a nudo. Non solo fisicamente, è ovvio, ma soprattutto nei loro sentimenti, drammi, desideri, intonando a tratti canzoni propiziatorie, facendo diventare quello non tanto un luogo di relax, ma di profonda purificazione esistenziale.

Una bugia per due. Questa volta è un uomo tra due donne che più distanti tra loro non potrebbero. A seguito di un’errata diagnosi medica, Luis si ritrova a condurre una perigliosa trattativa tra l’azienda chimica che rappresenta e un’associazione di malati di cancro. Il suo boss è Elsa, una spregiudicata avvocata, pronta a usare – e far usare a Luis – ogni arma pur di vincere. Dall’altra parte del tavolo c’è Hélène, un’attivista di quelle toste, che la racchetta la usa non solo per respingere i colpi, ma tirarla direttamente in testa a chi tenta di fregare i malati. Tra commedia, dramma, verità sociali, ambientali e legali, il film riesce a esprimere delle sue qualità.

Green Border. Un bianco e nero sulla brutalità delle due opposte polizie di frontiera bielorusse e polacche. Un piccolo gruppo di migranti siriani e afgani, attirati dall’inganno del despota Lukashenko di farli passare in Europa, viene in realtà violentemente sbattuto oltre le alte matasse spinate al confine con la Polonia. Una volta lì ricevono lo stesso trattamento, appesantito da furti, feroci crudeltà fisiche e mentali, dalle guardie polacche che di nuovo li respingono di là come fosse una schiacciata di pallavolo. E la partita continua così, con un nuovo respingimento bielorusso in modalità di sempre più spinti maltrattamenti. Obiettivo: la consunzione fino a estinzione finale della carne migrante. Volontari polacchi cercano di soccorrerli e assisterli legalmente, ma proprio su quella atroce linea di confine i soprusi oltre ogni legge scritta e moralmente universale non hanno più alcun confine. Una ricostruzione, quella della regista polacca Agnieszka Holland, che riesce ad andare oltre ogni documento di cronaca o talk show tv, per arrivare a qualcosa che solo il cinema sa e può restituire al pubblico. Distribuito da Movies Inspired. 

La quercia e i suoi abitanti. Sorprendente documentario sulla vita e le gesta del popolo animale attorno a una grande quercia, che è anche la sua casa e totem arboreo esistenziale. Inquadrature che entrano fin dentro le cavità e sotto le radici dell’albero. Lunghi inseguimenti mozzafiato di falchi a caccia di altre prede alate; arrampicamenti vertiginosi di grossi serpenti fino al ramoscello più esile per ingoiare un nido con piccoli appena nati. Un sistema di riprese fatto con più cineprese strategicamente piazzate e con ore e ore di appostamenti diurni e notturni. La bellezza intima, invisibile, infinita di quello che ci stiamo accanendo a distruggere. Il tutto senza una sola parola umana, ma con tante voci di becchi, ali, zampe e fronde. Solo alla fine, una poesia stellare. Piace oltre ogni individuale età di chi guarda e rimane sprofondato nello schermo. 

Prima danza, poi pensa – Alla ricerca di Beckett. Ricerca deludente, però. Dell’opera di questo innovatore della letteratura e del teatro si fa una sola, rapida citazione di Aspettando Godot. Samuel Beckett si confessa con il sé stesso sdoppiato e incarnato dallo stesso attore, Gabriel Byrne, non perfettamente nel ruolo. L’antro cavernoso dentro cui i due dialogano dovrebbe rappresentare l’inconscio. Al centro ci sono solo gli aspetti biografici. La conoscenza e il rapporto anche di lavoro con James Joyce, il quale, però, cerca di impataccargli, quale sposa, Lucia, la sua figlia pazza. Un tentativo inconcluso di azione armata nella resistenza francese, per onorare il suo compagno ebreo di studi e di idee Alfi Péron. I due amori della sua vita: la moglie Suzanne Dechevaux-Dumensil e la sensuale traduttrice nonché consulente editoriale Barbara Bray. E sul finale uno strascinato stato di senescenza, o rimbambimento, quasi quanto il film fin dall’inizio.

Il colore viola. La catena delle trazioni. Tratto dal romanzo autobiografico di Alice Walker, Premio Pulitzer 1983. Da cui è stato tratto l’omonimo film di Steven Spielberg, 1985. Poi, nel 2005, ne è stato tratto da Marha Norman un musical teatrale con lo stesso titolo. E infine questo ultimo film del 2023, anch’esso molto musical, diretto da Blitz Bazawule, e prodotto anche dallo stesso Steven Spielberg. Attori e soprattutto attrici cantanti superlative. Qui non conta tanto la coerenza temporale della narrazione, ma quella di senso, di significato. Più che il razzismo bianco, qui sul banco degli imputati è il maschilismo nero. Perché – in tutte le culture e latitudini del mondo, oltre il colore della pelle e dei credi civili e religiosi – la vera metastasi umana resta il – patriarcato.

The Holdovers – Lezioni di vita. Holdovers sta per quelli che restano, anche nel senso di residui, avanzi. Vacanze di Natale 1970. In un college della buona borghesia yankee, un severo professore di civiltà antiche è costretto a restare lì per badare a quattro o cinque ragazzi che le facoltose famiglie – per un motivo o per l’altro – non possono ritirare. Solo uno di questi, però, viene mollato lì per l’intero periodo. Proprio il più ribelle e ostile al prof. Non solo resti, dunque, ma anche incompatibili. Il film è un drama-comedy, così che scherzando si fa anche sul serio. Quel conflitto, infatti, conduce il prof a una resa dei conti con sé stesso, il proprio carattere, insegnamento, la scuola, la famiglia del ragazzo. Qualcosa di esistenzialmente autentico lo mette davanti a una scelta drammatica. Ci sono tanti significati di holdovers: lui quale è destinato a incarnare?

Finalmente l’alba. Una sorta di La grande bellezza, ma con il calendario spostato all’indietro, agli anni ’50-’60 del secolo scorso, con grandi attori, registi americani di casa a Roma, detta la Hollywood sul Tevere. Una specie di sòla, alla Walter Chiari in Bellissima, convince una ragazza che la farà lavorare come comparsa in un colossal americano in lavorazione a Cinecittà. La ragazza va con la madre e la sorella Mimosa, non appariscente come lei. Sarà proprio questa, invece, a essere presa non come semplice comparsa, ma come ancella della regina. Dopo le riprese, dalla sera all’alba, è trascinata in una grande villa romana, che è molto più dello stesso set del colossal. E Mimosa è ognuno di noi, in quanto estraneità a quel mondo, nel quale lei ci fa entrare, mostrandoci in diretta i riti di sesso, potere, corruzione, fallimento. L’ambientazione è sì di quell’epoca, ma tutto nella regia di Saverio Costanzo ci lascia intuire che in realtà è del presente si parla. Così che l’alba giunge finalmente come la riconquista di una luce esistenzialmente e cinematograficamente più autentica. Per chi guarda e per chi fa cinema.

Castelrotto. Nella realtà geografica italiana ci sono diverse località a nome Castelrotto. Una è la frazione del comune di Pergola, in provincia di Pesaro-Urbino. Qui è nato Damiano Giacomelli, il regista, sceneggiatore, autore di Castelrotto. Il set del suo film, però, è stato in un’altra località marchigiana. Quella di Torchiaro, frazione di Ponzano di Fermo. Un fattaccio di cronaca nera rimette in moto Ottone Piersanti, vecchio maestro elementare del paese, nonché cronista di provincia in pensione. Ritira fuori la sua mitragliatrice, ossia una vecchia macchina da scrivere, tornando a pigiare con veemenza sui tasti. Riemergono, insieme al passato, antiche convinzioni d’odio e una voglia di vendetta di Ottone, interpretato a muso duro e acide battute da Giorgio Colangeli. Emerge, soprattutto, uno spirito inedito, originale di tutta l’Italia in quanto provincia. Perché in provincia la cronaca ha un valore diverso che nelle grandi città. Essa scuote un intero assetto sociale, squarcia ipocrisie sedimentiate, rompe equilibri stantii. Il regista stesso si è fatto cronista, compiendo una ricerca su vecchi fatti locali, risolti e irrisolti, imbastendoli in un intreccio di senso e cinema. Ma Ottone, il maestro elementare che ha tirato su e conosce a fondo tutti, riuscirà con la libera scrittura a ritessere la giustizia lacerata dallo sparo di un mattino?

Riccardo Tavani

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