Nicola D’Antrassi, vittima di una mafia che ancora non ha nome

Ventisette anni fa moriva a Scordia, in provincia di Catania, Nicola D’Antrassi, imprenditore sessantatreenne, finito nel mirino della mafia in uno dei periodi più caldi ed insanguinati del nostro Paese. La notizia del suo efferato omicidio fece un rumore tiepido, lontano anni luce dallo scalpore che avrebbe provocato oggi, quando la mafia uccide sì, uccide ancora, ma lo fa in modo meno eclatante.

Nell’89, invece, se eri un poliziotto e vivevi in Sicilia, di storie come quella di Nicola D’Antrassi ne sentivi a decine, ogni giorno. Ma alla quasi assuefazione di organi di stampa e forze dell’ordine, non corrispondeva quella della gente. Quando venne ucciso “l’Avvocato D’Antrassi” (era laureato in Giurisprudenza), Scordia fu sconvolta da un moto di indignazione e dolore. Nicola veniva da San Felice Circeo, in provincia di Latina; da giovanissimo si era trasferito in terra sicula, dove il sole e il profumo dei limoni lo avevano inebriato. Proprio nel settore degli agrumi si era specializzato, diventando un noto e stimato imprenditore della zona. La gente del paese lo elogiava perché aveva dato lavoro a più di 200 persone. E non solo: si distinse per la scrupolosità con cui applicava i contratti salariali, in direzione opposta al modus operandi della maggioranza degli imprenditori scordiesi. Per gli stessi motivi, cominciò ad inimicarsi gli altri commercianti, che non vedevano di buon occhio il fatto che l’Avvocato non si piegasse alle logiche di pizzi e pizzini della zona. Iniziò, al contrario, a denunciare le infiltrazioni malavitose nell’imprenditoria agrumicola. Cominciarono le minacce telefoniche, le visite di avvertimento, fino all’incendio di uno dei suoi stabilimenti. Ma D’Antrassi non disse mai nulla alla moglie, ai cinque figli. Non voleva far preoccupare nessuno. Finché l’11 marzo, andò a prendersi un caffè al bar “La Bussola”; e, senza nemmeno aver portato la tazzina alla bocca, sentì che alle spalle un uomo gli puntava una pistola alla nuca.

È stato freddato così, senza pietà, in una mattinata di sole qualunque. I suoi assassini non sono mai stati identificati e il suo rimane uno dei tanti casi irrisolti di mafia. Quando morì Nicola D’Antrassi, fu un duro colpo non solo per la famiglia, ma anche per i dipendenti dell’azienda a cui lui era a capo. Avevano perso un dirigente che del padrone aveva ben poco; un uomo buono, umile, col senso del lavoro, della fatica e, soprattutto, della giustizia.

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