Italia prima tra i poveri

In un’Europa in crisi, l’Italia è il paese che conta il numero più alto di poveri. Secondo quanto emerge dalle analisi condotte dall’Ufficio Statistico dell’UE (Eurostat), le cifre per il 2016 si attestavano sui 10,5 milioni. Nell’ultimo anno questa cifra è aumentata. Valutando dei fattori che incrociano le possibilità economiche alla situazione sociale di singole persone o di intere famiglie, Eurostat ha stabilito dei parametri che, se rispettati in almeno cinque casi, definiscono l’ingresso nella categoria di deprivazione materiale e sociale: tra questi parametri vi è la possibilità di affrontare spese impreviste, concedersi una settimana di vacanza, avere bollette arretrate ma anche praticare attività ricreative e spendere dei soldi per sé.

Dunque la povertà è un fenomeno più che complesso, che deriva non soltanto dalla mancanza di reddito quanto dal modo con cui ci si inserisce nella vita economica e sociale del Paese: per questo motivo i nuovi poveri si ritrovano nel ceto medio, tra i più anziani e i giovani precari o senza lavoro, tra le neo famiglie con figli. Persone che magari hanno un lavoro e anche una casa, ma che nell’abitazione stessa arrivano a vivere in forme di “barbonismo domestico”, ovvero l’abbandono totale.

Le stesse persone che fino a qualche tempo fa godevano di una minima inclusione sociale, oggi sono tra i borderline; le regioni più interessate dal fenomeno sono quelle del sud del paese, ma un quarto dei residenti del centro Italia è a rischio povertà. Dati così negativi non venivano registrati dal 2003 e vi è stato un incremento del 165% in dieci anni: la situazione fotografata nel nostro Paese non è certo degna di un paese occidentale. Si allargano però senza freno le file per le mense e i dormitori, perché ad ingrossarsi sono anche i numeri dei senza tetto, di chi conosce la strada perché rimasto senza lavoro o per dipendenza da droga, e dunque diventa sempre più sottile la linea che separa i poveri assoluti da chi si trova leggermente sopra questo margine. Varare un reddito di inclusione sociale non è la soluzione, o comunque non è abbastanza: in un pronostico pessimista da fine anno, il rischio è che la situazioni peggiori, e in fretta.

di Giusy Patera

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