Dov’è adesso Julian Assange, creatore di WikiLeaks?

La questione Assange si arricchisce di un nuovo capitolo: l’Equador ha concesso la cittadinanza all’uomo rifugiato nella sua ambasciata londinese dal 2012. Una scelta che apre a nuovi sviluppi. Ma in quale direzione?
Chi è Julian Assange
La notorietà internazionale del giornalista e programmatore australiano Julian Assange e della sua creatura, WikiLeaks, inizia nel 2006 con la pubblicazione di informazioni riservate sulle azioni belliche americane. In quell’anno l’organizzazione rilascia in rete video sull’uccisione di iracheni disarmati, registri di guerra che rivelavano il reale costo umano dei conflitti in Iraq e Afghanistan e oltre 250mila dispacci diplomatici.
L’azione di disvelamento prosegue con la pubblicazione delle prove di uccisioni extragiudiziali in Kenya, di una relazione sullo smaltimento di rifiuti tossici in Costa d’Avorio, con le rivelazioni sulle condizioni detentive nel carcere di Guantanamo e con il rilascio di informazioni riservate sull’operato di grandi banche d’affari.
Immediatamente Assange diventa un eroe mondiale per gli attivisti anti-establishment e un nemico per il sistema.
Le contromisure
Nel 2008 il Pentagono elabora un piano dettagliato per screditare, silenziare e criminalizzare WikiLeaks e per stroncare la figura di Assange.
Nell’agosto 2010, Assange partecipa ad una conferenza in Svezia. In quell’occasione due donne presentano contro di lui una denuncia per stupro e molestie. Assange viene interrogato dalle autorità svedesi ma il procuratore capo di Stoccolma, Eva Finne, dichiara di non credere “ci sia alcun motivo per sospettare che abbia commesso uno stupro”. Assange non viene incriminato e lascia il paese scandinavo. Nella vicenda, a questo punto, entrano Claes Borgstrom, un avvocato legato al partito socialdemocratico, che assume la rappresentanza delle due donne e un nuovo procuratore, Marianne Ny, che riapre il caso. Lo stesso giorno il capo del servizio di intelligence militare svedese dichiara che WikiLeaks rappresenta una minaccia per i soldati svedesi arruolati in Afghanistan.
Il 20 novembre dello stesso anno l’Interpol emette un mandato per l’arresto di Assange. Il fondatore di WikiLeaks compare davanti ad un giudice di Westminster che, nel dicembre 2010, gli concede il rilascio dietro il pagamento di una cauzione di 240.000 sterline.
La battaglia legale continua fino al 2012 quando le autorità svedesi chiedono l’estradizione per Assange. Da più parti le accuse vengono denunciate come un pretesto per poterlo poi estradare negli Usa. Quello che si teme, visto che l’accordo sull’estradizione tra la Svezia e gli USA vieta quelle basate su reati politici, è un intervento coperto della Cia. Non sarebbe la prima volta. La Svezia, infatti, ha già consentito la deportazione illegale dei rifugiati e nel 2001 è stata condannata dal Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura, da Amnesty International e da Human Rights Watch per la consegna e la successiva tortura di due rifugiati politici egiziani.
L’Equador
Il 19 giugno 2012, Assange si rifugia nell’ambasciata equadoregna a Londra e ad agosto il paese presieduto da Rafael Correa, uomo di punta della nuova sinistra sudamericana, gli concede protezione. Nonostante la concessione dell’asilo sia un atto umanitario che il diritto internazionale attribuisce ad ogni stato, Svezia e Regno Unito non riconoscono la legittimità della decisione. Solo l’indignazione mondiale impedisce al ministero degli esteri britannico di mettere in pratica le minacce di rimozione dell’inviolabilità diplomatica e la violazione della Convenzione di Vienna. La polizia britannica circonda l’ambasciata e non consente al fondatore di WikiLeaks di lasciare il paese. Da allora Assange vive rinchiuso all’interno dell’ambasciata. Nel frattempo la Svezia ha lasciato cadere le accuse di stupro ma restano in piedi quelle britanniche per non essersi presentato ad una udienza sulla cauzione.
Gli Usa
Gli Stati Uniti, intanto, non hanno mai avanzato un’ufficiale istanza di estradizione. Secondo un’inchiesta del Washington Post, pubblicata nel 2013, il dipartimento di giustizia non ritiene che esistano gli estremi per processare Assange per la pubblicazione di informazioni classificate: il primo emendamento protegge gli editori, i giornalisti e gli informatori e quindi anche l’editore di WikiLeaks.
Al fine di superare l’ostacolo, lo stesso dipartimento ha escogitato accuse di spionaggio, cospirazione, furto di proprietà del governo e hackeraggio informatico. Incriminazioni che prevedono anche ergastolo e pena di morte.
Ed ora?
Esistono molti dubbi sulla reale posizione dell’attuale governo degli Stati Uniti, visto che la pubblicazione di documenti compromettenti da parte di WikiLeaks durante l’ultima campagna elettorale ha avuto il suo peso nella sconfitta di Hillary Clinton e nella vittoria di Trump. Non si devono poi dimenticare le accuse rivolte da più parti ad Assange di vicinanza alla Russia di Putin.
Altro che spy story.

di Enrico ceci

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