I NOSTRI VECCHI

Sembrano tutti uguali i vecchi dei nostri paesi: stessi vestiti scuri, stessi calzoni sformati, stessi occhi un po’ annacquati, lo sguardo senza stupore di nulla, anche le mani sono uguali, larghe e nodose, i gesti lenti e pesanti, l’andatura incerta in cerca di equilibrio. S’ammucchiano al poco sole d’inverno negli stessi punti nelle strade, trovando quasi calore e sostegno dalla vicinanza dell’altro e d’estate cercano insieme le stesse zone d’ombra e un po’ d’ aria. Poche le parole, più pensate che dette, cenni del capo bastano a capirsi. Pochi hanno imparato a leggere il giornale, la noia è tanta, le ore passano troppo lente, anche se gli anni corrono.

Il tempo è cadenzato dai pasti. I nostri vecchi hanno vissuto la guerra, sentito miseria e ristrettezze, imparato il risparmio, conosciuto solo fatica. Hanno lavorato solamente nella vita, vacane, ferie, tempo libero non ne hanno mai avuto e non sanno come si vive il tempo del non lavoro, sono arrivati ad essere vecchi senza imparare cosa si deve fare quando ci si riposa. I fortunati hanno un po d’orto da guardare e s’intignano con insalata e le galline, quel poco che basta per aver uno scopo per alzarsi la mattina.

Se hai tempo per ascoltarli, dopo le prime frasi scarne, parlano volentieri dei tempi andati, di quando si andava a piedi da un paese all’altro; Il paese allora era famosa per i suoi fichi, ci si alzava alle tre di notte con le gerle piene di frutta e foglie e a piedi gli uomini e i ragazzi arrivavano anche a Roma, Prima Porta, per il mercato. E la fatica era tanta, tanta, ma era “normale” nessuno si sentiva un eroe per quel che faceva ..

Per le donne è un po’ diverso, reumatismi, dolori e acciacchi ce ne sono per tutte, ma le donne continuano a lavorare per la famiglia,fanno molto meno e brontolano di più. Tutto sommato, a queste nonne, occupate a tempo pieno in casa, non sembra poi di far tanto, perché il paragone lo fanno con il prima, quando all’alba, messo il fazzoletto scuro in testa, cominciava un giorno lunghissimo: il fuoco d’ accendere era la prima cosa, poi l ‘acqua d’ andare a prendere, la colazione per tutti e un po’ di pranzo per gli uomini cke andavano a giornata. Poi c’erano i figli da mandare a scuola e il pane da fare e la pasta da fare e le stanze da pulire e il bucato alla fontana, e il pranzo per chi era in casa- allora ognuno si teneva i suoi vecchi sani o malati che fossero- e le bestie d’accudire, fare l’erba, pulire e dare il mangime, e l’orto da curare: preparare, piantare, sarchiare, innaffiare se necessario, la legna da portare in casa e la cena. E ancora il bucato da riguardare, non c’era nulla che venisse usato e gettato via, tutto lavato, rammendato, stirato con il ferro riscaldato sul fuoco e riposto.

Quando tutto era stato fatto in casa, ci si sedeva sì, ma le mani non potevano e non dovevano star ferme, i ferri volavano e venivano fuori calzerotti corti di lana, ai vecchi maglioni disfatti veniva aggiunto un filo nuovo e rifatti, i colletti delle camicie rigirati, i cappotti rivoltati, dai calzoni degli uomini si tiravano fuori o calzoni per i più piccoli o gonne.

Quanto lavoro silenzioso, scontato, mai apprezzato è stato consumato! E ora, da anziane, ancora fanno, fanno tanto e non capiscono le giovani che più o meno hanno l’esaurimento… Il mondo di oggi per i nostri vecchi corre troppo veloce, non riescono a tenere il passo con questa storia e sono spaventati o increduli di ciò che sentono del “villaggio globale” , a loro bastavano le notizie del loro paese per saziare la loro curiosità, ora tutto è troppo. Hanno vissuto il loro tempo con tanta intensità di fatica che non hanno imparato la progettazione del futuro, quindi senza attesa del futuro, non hanno speranza, forse è questo che manca al loro sguardo.

Questo articolo è stato scritto nel giugno 1995, quindi 25 anni fa. Oggi tutto è diverso, forse. Ma c’era una cosa la solidarietà, che oggi non c’è più, troppo spesso sostituita dall’egoismo, con tanti cellulari, tanta psicologia.

Ma è rimasta la solitudine.

 

 di Flora Biondi

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