Gli ostacoli di Najla, atleta rifugiata

Najla è un astro nascente dell’atletica italiana. Ha 22 anni e corre i 3000 siepi, un percorso con diversi ostacoli da saltare che è un po’ metafora della sua vita. “In fondo, io volevo solo correre. Un giorno, al campo, sentii il mio ex allenatore spiegare gli ostacoli. Rispecchiavano perfettamente quello che stavo vivendo”.

Najla Aqdeir è arrivata in Italia undici anni fa. Oggi vive in una comunità protetta a Milano, dopo essere stata allontanata dai suoi genitori. Il padre, libico, ex guardia del corpo di Gheddafi, non poteva tollerare di avere una figlia che correva in calzoncini. “All’inizio correvo in tuta lunga, i miei erano contenti perchè portavo il messaggio dell’Islam che vince – ha raccontato al Corriere della Sera – Al campionato nazionale la gara viene trasmessa in tv. Mio padre non la guardava mai, ma quella volta si. Era furibondo, avevo corso in pantaloncini corti e canottiera”.

Iniziano i momenti difficili, le botte e le giornate chiuse a chiave in camera. Gli dà una mano Don Samuele, il parroco dell’oratorio. Lo stesso che la salva, qualche mese dopo. “Mia madre, a 15 anni, decide di portarmi in vacanza in Marocco. Ma era tutta una scusa, aveva combinato un matrimonio. Lui aveva 39 anni e non l’avevo mai visto”. Najla chiama Don Samuele e il suo allenatore, che riescono a comprargli un biglietto aereo e a farla scappare proprio il giorno delle nozze.

Oggi la sua vita, a poco a poco, sta tornando normale, nonostante la polizia la avverta, ogni volta che i suoi genitori tornano in Italia. Si mantiene da sola, facendo la baby sitter. Si allena tutti i giorni, seguendo i consigli dell’ex primatista cinese Liu Dong. Nei giorni scorsi però, arriva una nuova bruciante delusione. Avrebbe dovuto correre, per la Bracco Atletica, i 3mila siepi alla Coppa Europea di Birmingham. Per le autorità britanniche però, Najla è solo una rifugiata politica con passaporto libico. Il visto necessario per varcare la frontiera non le è stato concesso, con il timore che il suo vero obiettivo non fosse gareggiare ma restare in terra inglese e chiedere asilo. “Ho sempre pensato che lo sport fosse fatto per unire, e non per dividere. E invece oggi, dei pezzi di carta ancora mi definiscono senza che io possa difendermi o dire “voglio solo correre””.

Najla salterà anche questo di ostacolo. Come ha imparato a fare per tutta la vita. Con la speranza che a superare ostacoli, insieme a lei, possa essere anche qualcun’altro.

di Lamberto Rinaldi