G7, cala il sipario sull’alleanza commerciale globale

In una conversazione registrata a sua insaputa, Boris Johnson, Segretario di Stato britannico ed ex sindaco di Londra, si è definito un ammiratore di Trump. “C’è del metodo nella sua follia” ha affermato, aggiungendo che se fosse lui a dirigere le trattative sulla Brexit “ci sarebbe qualsiasi tipo di crisi, qualunque sorta di caos….ma alla fine otterrebbe dei risultati”.

Se riuscirà a raggiungere gli obiettivi è difficile da dire, ma sul metodo fuori dagli schemi non c’è dubbio. L’ultimo summit del G7 in Canada ha confermato l’imprevedibilità del personaggio e la sua strategia del disordine pilotato. Dopo un braccio di ferro durato giorni, gli altri capi di stato erano riusciti a strappare un comunicato comune che non nascondeva le diversità, ma riusciva perlomeno ad evitare lo scontro aperto. A qualche ora dalla conclusione dell’incontro, mentre era a bordo dell’aereo che lo avrebbe portato a Singapore per lo storico meeting con Kim Jong-un, il presidente americano ha messo in atto un ennesimo colpo di scena. Con un tweet ha attaccato il primo ministro canadese, Justin Trudeau, definendolo un “disonesto e debole”. Gli USA hanno poi ritirato la firma sul comunicato finale dando luogo ad uno strappo mai visto prima.

I due giorni di negoziati erano iniziati con la proposta, lanciata proprio da Trump, di riammettere la Russia nel G8. Alla fine si è perfino sentito parlare di G6. La reazione degli altri capi di stato, infatti, non si è fatta attendere. Il più duro è stato Macron che già prima della conclusione del summit aveva minacciato di isolare Trump.

I contrasti erano già ampiamente prevedibili alla vigilia dell’incontro. Motivo del braccio di ferro sono i dazi imposti dall’amministrazione americana sulle importazioni di acciaio e alluminio – rispettivamente del 25% e del 10%- dalla Cina, dalla UE, dal Messico e dal Canada. In particolare, lo scontro con i canadesi, che ospitavano il G7, viene dalle richieste americane sul NAFTA, l’accordo commerciale tra USA, Messico e Canada. Trump, che aveva criticato l’accordo già in campagna elettorale, vorrebbe inserire una clausola di scadenza in 5 anni se non dovesse essere rinegoziato. Il Canada rifiuta questa opzione.

Dopo aver tentato un accordo in extremis, i paesi colpiti dai dazi adesso vedono restringersi le opzioni. Se l’indisponibilità americana continuerà, lo scenario più probabile sarà quello dell’inizio di una vera e propria guerra commerciale. I paesi alleati sanno bene che la rappresaglia è un gioco in cui perdono tutti.  Ma potrebbero decidere di considerarlo il male minore di fronte al mercantilismo di Trump. Trudeau ha già annunciato che il Canada reagirà imponendo dazi sui prodotti americani dal 1° luglio.

Quelli che una volta era un partner commerciale potrebbe diventare un avversario. Per la prima volta, infatti gli alleati occidentali mettono in discussione la leadership americana, con la Russia e la Cina che sarebbero pronti ad approfittarne.

Anche l’Italia verrebbe danneggiata. Insieme alla Germania, è tra  i maggiori produttori di acciaio e alluminio in Europa. Secondo l’Istat il settore industriale che sarebbe il più colpito da una guerra dei dazi, è quello delle automobili. A livello territoriale, invece, è il Meridione la parte più esposta.

Difficile anticipare la struttura economica e geopolitica che si affermerà a livello globale, di cui ancora rimangono sfumati i contorni e la direzione. Sembra, invece, definitivamente in crisi il sistema iperglobalizzato che aveva governato il mondo a partire dagli anni 90.

di Pierfrancesco Zinilli

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