1974 1979 LE NOSTRE FERITE

silviaDOCUFILM di Monica Repetto.

Presentato fuori concorso al 38 Torino Film Festival, ecco una toccante ricostruzione dei cinque anni più violenti all’interno dei cosiddetti “anni di piombo”, un periodo terribile che devastò gli animi degli italiani che si trovarono a subire le ripercussioni armate dell’estremismo sia di destra che di sinistra. Nel film, la Repetto molto elegantemente, decide di rimanere super partes, come giustamente si dovrebbe, quando si fa una narrazione storica. La regista e scrittrice del docufilm, armata di grande discernimento, sorvola entrambe le barricate nel tentativo di rimanere obiettiva e professionale, a ragione, direi io, in quanto stragi, pestaggi ed atti violenti predeterminati furono stabiliti a tavolino da entrambe le correnti: Brigate Rosse, Prima Linea, Autonomia Operaia e movimenti di sinistra da una parte ed Ordine Nuovo, Fronte Nazionale ed altri movimenti di destra dall’altra. Un periodo di fuoco, se si pensa che si parla di 700 episodi neofascisti concentrati tra il 1970 ed il 1975 nella sola Roma, confermati dalle testimonianze, conservate ed oggi recuperate dalla Repetto. Ci fanno pensare vecchi video, in cui si intervistano degli studenti che si lamentano di essere costretti ad uscire da scuola necessariamente in gruppo, per non venire assaliti dai fascisti della vicina sede del Movimento Sociale e presi a sprangate se trovati soli per strada. Così come la testimonianza del giovane poliziotto Vincenzo Ammirata, che venne gravemente ferito dai brigatisti rossi, durante l’attacco alla sede della Democrazia Cristiana a Piazza del Gesù. Meravigliosa e toccante è la testimonianza di Annunziata Miolli, del Comitato delle Casalinghe, che si salvò per miracolo dalla strage a Radio Città Futura mentre era in onda il suo programma chiamato Radio Donna.

Nunni ci racconta come andarono i fatti, l’attacco con bombe incendiarie da parte dei Nuclei Armati Rivoluzionari di destra, che incendiò la sede della radio distruggendo ogni cosa, ma la cosa ancor più grave fu il “tiro al piccione” come dice lei, che gli attentatori fecero, sparando alle ragazze che scendevano di corsa le scale per fuggire dall’incendio e che divennero bersaglio dei colpi di arma da fuoco, dei terroristi appostati fuori in attesa di uccidere. La donna, oggi novantenne, ci mostra le sue ferite e ci racconta come in tutta la sua vita di madre, moglie e lavoratrice, abbia sempre cercato di far rispettare i basilari diritti delle donne, cercando di dare il valore che merita la parola “casalinga”, emblema di colei che si occupa della casa.

Ha sempre lottato per mettere in evidenza il senso sottostimato della “casalinghità”, sottolineando come ogni donna, nonostante magari abbia un lavoro che la tiene occupata fuori casa gran parte della giornata, una volta rientrata, si occupi comunque di pensare al bene di tutta la famiglia, facendo la spesa, cucinando, lavando, stirando, ecc. Quanto vero e tragicamente bello il suo commento sul senso della giornata dell’8 Marzo, che secondo lei, non solo dovrebbe essere ricordato come una giornata di lutto per la sua origine, ma al giorno d’oggi dovrebbe essere dichiarato una oscenità, in quando viene festeggiato dalle donne in discoteca a suon di spogliarelli maschili e di altre stupidaggini simili.  

Un altro testimone invece, Renzo Poser, gambizzato da un gruppo di Prima Linea, questa volta di sinistra, racconta come alla Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino, duecento persone, tra studenti e docenti, vennero tenute in ostaggio per mezz’ora nell’aula magna, prima di essere poi condannate ad essere gambizzate senza pietà, in quanto colpevoli di frequentare un centro di formazione considerato il cuore del “Sistema Imperialista delle Multinazionali”. 

Dall’altra sponda, il racconto di Luigi Schepisi, allora ventiduenne appartenente all’estrema sinistra (area Manifesto, PDUP) aggredito e massacrato da dieci fascisti  a Piazza Armellini a Roma, oppure quello di  Francesco de Ficchy, diciannovenne studente del liceo Augusto che, nonostante non fosse un attivista bensì un normalissimo non violento simpatizzante di sinistra, venne prima pestato a sangue durante un agguato di fascisti  in cui gli ruppero il naso con una catena di ferro e poi mesi dopo, essendo diventato una icona di sinistra,  a causa di quel pestaggio finito sui giornali, divenne l’obiettivo e la vittima di un agguato armato nel cortile del palazzo dove viveva con i genitori. Era quello un periodo in cui sparare, gambizzare e prendere a mitragliate i propri avversari di ideologie politiche, era diventata normalità. Una moltitudine di vittime lasciate nel dimenticatoio, mai interpellate, totalmente ignorate dalla massa, sono emerse grazie a questo docufilm che mi ha permesso di fare un tuffo indietro nel tempo, ricordi del periodo del liceo, le mie prime manifestazioni, i cortei, gli Inti Illimani che suonavano nelle piazze durante le proteste.

Mi ricordo il giorno che mia madre mi chiese: “ma non è pericoloso?” ed io ingenuamente le risposi di no, che anzi era una manifestazione pacifica indetta da Pannella a Piazza Navona, peccato che poi invece, si trasformò in qualcos’altro e la povera Giorgiana Masi fu uccisa a qualche centinaio di metri da dove ero io. Ricordi terribili, che però ci fanno riflettere su come quei cinque anni furono un fenomeno che a Roma veniva vissuto quasi come normalità. Come giustamente uno degli intervistati tiene a sottolineare, le vittime non sono state considerate granché, anzi, ciò che lo ha ferito di più, è che: “Nessuno mi ha mai chiesto che cosa mi abbia prodotto a livello psicologico. Nemmeno le persone a me vicine, mi hanno aiutato ad elaborare il lutto, a fare i conti con il mio passato, anzi, mi hanno condizionato forse anche più di quelli che mi hanno rotto il naso a sprangate”. Ferite, purtroppo, mai rimarginate.

di Silvia Amadio

 

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