Mario morto di freddo il giorno dell’Epifania

Mario, senza dimora, è morto di freddo il giorno della Epifania. Aveva 58 anni. È morto assiderato vicino la stazione Termini a Roma. Nell’ultimo mese, solo nella capitale, sono morti a causa del freddo, sette persone. L’ultimo, in ordine di tempo, si chiamava Mario. Un nome comune, fin troppo comune, come comune è la sorte drammatica che coglie ogni anno i senza dimora. L’inverno è rigido. La notte la temperatura scende molto sotto lo zero. Loro, i poveri, i diseredati, gli emarginati, di ogni razza e di ogni religione, condividono il freddo polare e maggiormente condividono la morte. E muoiono nella indifferenza e nel totale abbandono. Quest’anno, l’inverno arriva con la pandemia che ha aggravato ulteriormente la condizione di chi vive per strada. La notte, solo a Roma, circa tremila persone non hanno un letto dove dormire. Non hanno un luogo dove ripararsi dal freddo e dal gelo. Passare la notte all’aperto è drammatico, ancora più drammatico per i bambini e le persone anziane. A Genova è deceduto un “clochard” tra i 50/60 anni per ipotermia. Dormiva in un marciapiede vicino all’ospedale Galliera, in pieno centro. I soccorsi non sono riusciti a salvarlo. Un egiziano di 53 anni, è stato trovato morto in un sottopassaggio presso la stazione Garibaldi, il 2 gennaio, a Milano. La stessa stazione dove ieri un altro senza dimora si è dato fuoco con la benzina.

Sono tanti, sono troppi, per noi sono Mario. Non hanno un nome, noi vogliamo darglielo, per ricordarli e averli nella memoria. Mario e Maria, nomi comuni per persone che muoiono nella indifferenza e nella dimenticanza di un gesto di solidarietà. Mario è morto, aveva 53 anni. Era sufficiente un luogo caldo, una tazza di latte calda, una carezza con una mano calda. Ma niente. Mario è morto anche perché nessuno vuole sentirsi fratello del fratello sfortunato. Il troppo che abbiamo, il lusso che evidenziamo, lo spreco che facciamo, preferiamo sperperarlo in inutili cose, anziché dividerlo con i nostri fratelli, il nostro prossimo, talmente prossimo a noi che ci dà fastidio. Ed allora Mario muore di freddo. Mario muore solo. Mario muore congelato senza nessuno che gli tenga la mano. Mario muore perché il nostro egoismo è più forte della “pietas”.

Mi piace pensare che un giorno Mario sieda alla nostra mensa, alla mensa di Francesco, dove siamo tutti fratelli o “fratelli tutti”, con un paio di guanti di lana, un maglione consumato sui gomiti, ma caldo, i piedi asciutti perché ha trovato le calze e un paio di scarpe, magari consunte anche quelle, ma buone per tenere i piedi all’asciutto. Si, mi piace pensare a Mario come mio fratello, che mio figlio chiama zio, perché tutti siamo zio o fratello della umanità intera. Una umanità che condivide il pane e il vino, e quando fa freddo si stringe intorno a chi il freddo lo sente non solo nella carne, ma anche nel cuore. Stretti, in un abbraccio profondo che fa sentire Mario figlio della stessa madre che ha partorito il Cristo Salvatore, che fa sentire Mario non più un senza dimora, ma un fissa dimora nel presepio del mondo dove ci si scalda nella stalla, con il bue e l’asinello, al cospetto dei Magi, che da Re quali sono, si inchinano e condividono la ricchezza con il Mario appena nato, in una stalla. Una stalla che per quando povera accomuna tutti e li fa sentire figli dello stesso padre. Mario, per noi, oggi, ma anche domani e domani ancora, è lì e ci guarda e ci sorride e ci tende le braccia, sapendo che lo stiamo accogliendo nella nostra carne e maggiormente nel nostro cuore. Mario, mentre muore di freddo, a soli 53 anni, vicino alla stazione Termini di Roma, sogna questo. E si lascia andare alla morte, in solitudine, sognando un abbraccio caldo che non ha mai avuto.

di Claudio Caldarelli

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