Ancora con Giulio Regeni contro la follia che l’ha ucciso

Ha senso dire che non bisogna lasciare sola una persona ammazzata? Che sia in paradiso o all’inferno o nel nulla, che bisogno ha più di noi? A parte che nessun vivente può autenticamente affermare dove davvero sia, resta che quella persona ha subìto un atto di violenza assoluta, di negazione, cancellazione, annullamento totale dell’intero suo essere. Tale atto si rende possibile perché chi lo compie ritiene insanamente che quell’essere sia qualcosa di isolato, staccato dalla totalità di cui è parte. Giulio Regeni si manifesta come una luce di intelligenza e sensibilità che immediatamente percepiamo come parte più intima di ognuno di noi. Qualcuno ha potuto pensare che fosse possibile togliere quella luminosità dall’aria aperta del mondo, chiuderla, isolarla dentro un sotterraneo buio della tortura, violentarla nei modi più efferati fino a spegnerla e scaricarla poi come un sacco di spazzatura all’angolo di una periferia del Cairo. Qualcuno ha pensato e continua a pensare che questa follia sia lecito non solo averla compiuta ma tornare a compierla ancora impunemente, ogni volta che si voglia. Non lasciare solo Giulio dentro quel sotterraneo dissennato del potere significa affermare, mostrare tutto l’insieme esistenziale che lui in noi è, per dimostrare la stoltezza di chi pensa di avergli tolto la voce, le parole, il pensiero, i legami con la nostra internità.

Il grande filosofo Walter Benjamin, suicidatosi per sfuggire alla cattura dei nazisti, scrive alla fine della sua sesta tesi Tesi sul concetto di storia che “anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince”. Intende dire che se noi non ridiamo voce a chi è stata brutalmente tolta, non ridiamo una possibilità, una verità a chi è stata in modo protervo negata allora quella follia avrà davvero vinto e si sarà imposta come ragione inderogabile del mondo. Da questo è scaturito il moto di ribellione contro il suo assassinio e la richiesta di verità sulle ragioni e i modi del suo massacro: oltre ogni cosiddetta Ragion di Stato. Sappiamo che questo tipo di ragione ha la sua smisurata forza in grado di sconfiggere ogni altra umana ragione morale e pratica. Non ci facciamo illusioni, nello stesso tempo sappiamo che non possiamo lasciare solo Giulio. Riteniamo sia giusto, per la speranza e il futuro di ogni giovane di questo mondo, sapere come siano andate davvero le cose, come e perché sia stato torturato e poi massacrato in quel modo. Qualunque sia questa verità, ne ha diritto il mondo e il pensiero.

Siamo stati in pochi – immediatamente, appena appresa la notizia – a sentirci telefonicamente, a lanciare la richiesta di verità, l’hashtag sui social media #vogliamolaverita. I suoi amici più vicini hanno lanciato una petizione su Change.org. La campagna è cresciuta, ha aperto dei varchi nel muro egiziano della vergogna, è arrivata la settimana scorsa fino alla Commissione Europea che l’ha fatta propria, almeno nelle intenzioni. Sappiamo che la Ragion di Stato punta sui tempi lunghi dell’oblio, della stanchezza, della forza pratica del dovere andare avanti degli affari e dei denari. Ridando, però, la voce a Giulio, il quale conosceva bene la situazione, noi affermiamo con lui che è più l’Egitto a dover temere la perdita di scambi e prestigio a causa delle nefandezze commesse sul suo territorio. Non testimoniamo la richiesta di verità perché siamo italiani o europei o occidentali o anche egiziani e di ogni altra parte del mondo che avverta l’ingiustizia commessa contro la luce del mondo in fiore rappresentata da Giulio. No, la testimoniamo perché vogliamo rimanere saldi, non isolati, non separabili da quel nostro ragazzo e dalla sua, nostra ragione contro la vera solitudine di quella cieca follia.

Ovunque possiamo rilanciamolo, continuiamo a farlo nostro, a passarlo il testimone su Giulio Regeni dell’hashtag #vogliamolaverita.

di Riccardo Tavani

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