Un nome un destino

Macerie alle spalle, davanti chilometri di filo spinato: Idomeni – al confine tra Grecia e Macedonia –  è una tendopoli di oltre 15.000 profughi e migranti bloccati nel fango per la chiusura del confine. Iracheni e siriani, la stragrande maggioranza.

Idomeni è il punto del mondo in cui rischia di morire il sogno di una Europa per sempre civile ed ospitale. E’ il lembo di terra dove la verità di ogni speranza incontra la menzogna della paura e del tradimento dei diritti fondamentali di ogni essere umano: libertà e sopravvivenza.

Idomeni è sincope del tempo, è salto mortale all’indietro, è il ritorno ai momenti bui di muri e filo spinato. Forse è solo un caso, ma ‘Idomeni’ – nomen omen stando ai latini – incarna un triste presagio scritto nel mito dell’eroe che, più di ogni altro, ne ricorda il nome.

Idomeneo  è il re di Creta chiamato a scegliere chi fosse la più bella tra Teti e Medea. Avendo egli scelto la dea del mare, fu maledetto da Medea che condannò lui e tutta la sua stirpe a non essere mai più creduto.

Il mito non sbaglia mai e a Idomeni, dopo tremila anni, torna ad incarnasi il racconto di una ‘verità non creduta’. Nulla è più vero ed evidente di quelle decine di migliaia di profughi: dei loro diritti, dei loro primari bisogni, eppure la loro eloquente ‘verità’ – corporale e fisica – non può varcare i confini, perché non passa e non fa breccia nel nostro animo.

E chi come Idomeneo non è creduto, non è amato. Quando, dopo un lungo viaggio torna – finalmente – a  Creta, trova un usurpatore che giace con sua moglie in quello che un tempo era stato il loro letto. L’eroe sceglie, allora, di rimettersi in viaggio e, dopo aver attraversato il mare, sbarca in Italia, a S.Maria di Leuca, in Puglia.

Ci risiamo, il mito non mente. Idomeneo è un migrante, destinato ad attraversare il Mediterraneo e a giungere sulle nostre coste.

La chiusura della cosiddetta ‘via dei Balcani’ sembra dar corpo alle italiche paure di una ripresa degli sbarchi – stavolta in Adriatico – dalla Grecia e l’Albania verso le nostre spiagge.

Ma cosa ci può suggerire ancora il mito? Ci dice che il destino degli uomini in fuga da se stessi o dall’orrore del mondo è, comunque di trovare – un giorno -definitiva accoglienza. E’ solo questione di tempo.

Sospinti dalla brezza di questo ‘sragionare’, ci viene da chiederci perché l’uomo, in fondo, sia sempre teso verso l’altro da sé?  E mi pare che qualunque risposta trovi nella necessità dell’ ‘incontro’ una ragione profonda e un orizzonte di senso, ineludibili.

Si va verso l’incontro – ci si viene ‘incontro’ – perché solo così si va ‘incontro’ al proprio destino, nella scoperta dell’altro da sé.

Solo un’ora di volo e una d’auto mi separano da quelle migliaia di persone accampate ad Idomeni. Incarnando il mito di ritorno di Idomeneo ho deciso di fare io quel viaggio verso ciascuno di loro. A Pasqua sarò ad Idomeni, desideroso di andare ‘incontro’ ad uomini e donne – altro da me – per offrire loro spazio nel mio destino.

di Luca De Risi

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