Pio La Torre: la terra a tutti

Claudio Caldarelli Direttore Responsabile

La mattina del 30 aprile 1982 Pio La Torre viene assassinato a Palermo mentre sta raggiungendo la sede del partito Comunista in via Turba a bordo di una macchina guidata dal compagno e amico di partito Rosario Di salvo, che perde la vita insieme a lui. Pio La Torre nasce a Palermo il 24 dicembre del 1927, cresciuto con 5 fratelli in una famiglia di contadini, aderisce da giovane alle lotte dei braccianti siciliani per il diritto alla coltivazione delle terre. Si iscrive al partito Comunista Italiano nell’autunno del 1945 con l’apertura di una sezione nella sua borgata.
Era un vero figlio del Sud, discendente da quelle generazioni di contadini e mezzadri, quasi tutti poverissimi, che davano volto e carattere alla Sicilia. Pio esprime il desiderio di andare a scuola, che suo padre, in un primo momento gli nega, per poi, lasciarsi convincere dalla moglie Angela, che, analfabeta, aveva istigato i 5 figli, tra cui Pio, a ribellarsi alle loro misere condizioni di vita attraverso lo studio. Pio raggiunge un accordo con il padre, cioè, ogni mattina, prima di andare a scuola, doveva pulire la stalla adiacente alla casa. Inizia così il suo percorso di riscatto dalle condizioni di miseria, cui la rigidità del sistema sociale lo avrebbe condannato.
La scelta di aderire al PCI affondava le sue ragioni all’origine del suo impegno a fianco del popolo siciliano nella lotta per liberarsi dalla condizione di sottosviluppo e subalternità. Così matura il suo interesse per la giustizia sociale e si impegna a combattere per i diritti dei più deboli e bisognosi contro lo sfruttamento dei ricchissimi proprietari terrieri.
Il suo impegno è continuo sia sul fronte politico che sul fronte sindacale. Diviene responsabile della Federterra e della Cgil, poi del PCI partecipando in prima persona alle lotte dei contadini. Da inizio al movimento per l’occupazione delle terre lanciando lo slogan: “la terra a tutti”, la protesta, guidata da La Torre prevedeva la confisca delle terre incolte o mal coltivate e l’assegnazione in parti uguali ai contadini. Parallelamente inizia anche la campagna per la raccolta del grano, che sarebbe servito per la semina delle terre occupate.
I proprietari dei latifondi e delle baronie, l’aristocrazia, la nobiltà e il clero iniziano a contrastare con tutti i mezzi le idee del giovane La Torre. Ci furono scontri con la polizia, molti contadini rimasero feriti, molte donne furono malmenate, neanche i bambini vennero risparmiati. Lo scontro sociale fu molto forte e si prolungò per mesi. Pio La Torre fu arrestato nel ’50 e rimase in carcere fino al ’51. Quando esce dal carcere continua le lotte con i braccianti, nel ’52 diviene segretario della CGIL e inizia la raccolta firme per un referendum che metta al bando le armi atomiche.
Si candida al consiglio comunale di Palermo dove viene eletto e rimane in carica fino al ’66 anno in cui viene eletto all’Assemblea Regionale Siciliana. Viene chiamato a Roma alla direzione nazionale del Partito come responsabile della sezione agraria e meridionale. Nel ’72 viene eletto deputato dove partecipa ai lavori delle commissione agraria e della commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno mafioso in Sicilia. Si fa promotore di una proposta di legge che inserisca nel codice penale il reato di associazione mafiosa, fino a quel momento non passibile di condanna. La proposta prevedeva anche la confisca dei beni riconducibili alle attività illecite dei condannati per mafia. Tale legge quando fu approvata divenne nota come la legge Rognoni-La Torre (legge 13 dicembre 1982 n. 646).
Nel 1981 rientra in Sicilia come segretario regionale del PCI, dove inizia la sua ultima battaglia contro l’installazione dei missili Nato nella base militare di Comiso nei pressi di Ragusa. Pochi mesi dopo viene assassinato insieme al suo caro amico e compagno Rosario Di Salvo. Il 12 gennaio del 2007 la Corte di Assise d’Appello di Palermo ha emesso l’ultima di una serie di sentenze che ha portato a individuare gli autori materiali dell’omicidio. Dalle rivelazioni di un collaboratore di giustizia, è stato possibile identificare i mandanti dell’omicidio nelle persone di Totò (Salvatore) Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Antonino Geraci.
“Al partito mi ero iscritto nell’autunno del ’45, negli stessi giorni in cui mi ero iscritto all’università. La scelta fu certamente influenzata dal tipo di famiglia nella quale ero cresciuto. Provenivo da una borgata di Palermo che a quell’epoca sembrava un paese lontano, si pensi che nel piccolo villaggio dove io sono nato, fino all’età di otto anni, non avevamo la luce elettrica, si studiava a lume di candela o a petrolio, e l’acqua da bere dovevamo andare a prenderla quasi a un chilometro di distanza. I braccianti di quella borgata, la domenica mattina, quando si ripulivano e andavano in città dicevano ‘ vaiu a Palermu ‘ come se andassero in una città lontana. Avevo cominciato la mia attività politica nella borgata dove sono nato. Dopo aver costituito la sezione del partito e contribuito a crearne altre attorno, avevo scoperto che c’era bisogno dell’organizzazione sindacale dei braccianti e, quindi, mi ero rivolto alla Federterra”.

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