Rosario Iozia, giovane carabiniere vittima della ‘ndrangheta

Simone Cerulli

È il 10 aprile del 1987 quando un blitz dei Carabinieri libera Angela Mittica, giovane figlia del sindaco del paese, dalle mani della ‘ndrangheta. Siamo in Aspromonte e Angela era tenuta sotto sequestro da mesi, nascosta tra le grotte dell’Appennino Meridionale. Stava per essere trasferita in un altro rifugio, quando la squadriglia di Cittanova, che era al comando, libera la ragazza dopo uno scontro a fuoco. La notizia si sparge velocemente e tutta l’Arma è in festa, tanto che il Generale Roberto Jucci prenota l’aereo per il giorno dopo, deciso a congratularsi di persona coi ragazzi. Tra loro c’era Rosario Iozia, giovane brigadiere di venticinque anni, comandante proprio della squadriglia Cittanova. Era nato, Rosario, a Catania, nel 1962. A soli diciotto anni era entrato nei Carabinieri, girando l’Italia in lungo e in largo per completare la sua formazione. All’inizio presso la scuola allievi Carabinieri di Chieti, dove ha frequentato il corso di Allievo Carabiniere Ausiliario e al termine del quale è stato destinato a prestare servizio dal 1981 al 1983 presso la Stazione Carabinieri di Roma Salaria. Per frequentare poi, dal 1983 al 1985, il corso Allievi Sottufficiali Arma dei Carabinieri a Velletri, e successivamente a Firenze, con destinazione Nucleo Operativo di Reggio Calabria, oltre a un breve periodo come Comandante interinale della Stazione Carabinieri di San Giorgio Morgeto. Per partecipare, infine, a un corso di specializzazione per Comandanti di Squadriglie al termine del quale è stato assegnato al reparto dell’Arma di Cittanova come Comandante della Squadriglia Carabinieri Calabria.

Poche ore dopo l’operazione, Rosario si mette alla guida della sua Regata, direzione Cinquefondi. Sono le sette del pomeriggio, è libero da impegni, ancora soddisfatto dalla liberazione di Angela. Sta raggiungendo la sua fidanzata ed è già in ritardo per l’appuntamento. Esce da Cittanova, percorre un chilometro sulla statale che taglia quelle terre di ulivi e ricche di covi quando, all’altezza del ristorante La Petrara, vede un gruppo di uomini che cammina furtivamente, che forse sta tentando di nascondersi. Non è dato sapere esattamente cosa sia successo, ma è possibile pensare che Rosario si sia accorto del fatto che fossero armati, forse ha riconosciuto un latitante. Deve aver avuto l’urgenza di agire, perché lascia il motore acceso, esce dalla macchina, tira fuori la pistola e tiene sotto tiro il gruppo, dando l’alt. Ma non spara, e questo gli è fatale. Quando capisce che qualcuno apre il fuoco, fa in tempo a sparare un solo colpo, prima di essere raggiunto dal pallettone della lupara. Due colpi calibro 12, per l’esattezza.

Rimarrà a terra e sarà trovato così da alcuni automobilisti, Rosario, per poi morire poco dopo, non ancora venticinquenne.

Il Capo dello Stato concederà alla sua memoria la Medaglia d’Argento al Valor Militare, che a nulla serve a queste vittime sacrificali per combattere questo male, se in vita  sono troppo spesso lasciati soli.

di Simone Cerulli

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