Viva l’Italia, l’Italia che resiste

Daniela Baroncini

Una mattina
mi son svegliato
e ho trovato l’invasor

Col proclama dell’armistizio dell’ 8 settembre del 1943, l’Italia nel giro di un mattino divenne terra di tutti e di nessuno. Mentre gli alleati risalivano lentamente dal Sud, nel Nord si instaurarono 3 governi: tedesco, fascista, e partigiano. Fu uno shock collettivo. Tutti gli uomini ‘abili’ si trovarono a dovere scegliere tra la deportazione tedesca, l’arruolamento nella nuova repubblica di Salò e la fuga in montagna. Ragazzi che avrebbero voluto vivere così, col sole in fronte, furono costretti alla guerriglia. Per scelta o per necessità, per non chinare la testa, per non lasciarci la pelle, per prendere una parte, nacquero i Partigiani. Si rifugiarono sui monti, trasformando in caserme le vecchie cascine, senza una casa, senza un tetto, un letto, senza la mamma, la moglie, la fidanzata, ciao bella ciao. Resistere, organizzarsi, insisteva la radio. Non era semplice. C’era chi andava avanti solo per andare avanti, c’era chi era andato a far la guerra sui monti solo perché la guerra finisse prima, ma col tempo che trascorreva lento, col freddo e con la fame, il morale calava. L’odio invece cresceva così in fretta e così tanto che molti lo mangiavano al posto del pane, che spesso era poco e qualche volta mancava. C’era chi invece camminava per andare verso qualcosa, e intanto prevedeva l’arrivo, radunava gente, progettava, e aveva idee di giustizia, e fede vera e un cuore unico e un sogno libero. Don Carlo Orlandini, lui era uno così. Per noi era una leggenda vivente. Perché era un prete, ma anche un partigiano, di quelli col fucile in spalla. Era di famiglia soltanto per un remoto incrocio di cognomi, e a dire il vero non si chiamava nemmeno don Carlo, ma don Domenico. “Carlo” era il suo nome di battaglia: quel nome gli era poi rimasto per sempre cucito addosso come una

medaglia, come quella che gli diede l’Inghilterra a guerra finita, per il salvataggio di oltre 3000 prigionieri anglo-americani sulla linea gotica.

“Felice é colui che comprende che é necessario rinnovarsi molto per essere sempre lo stesso” scriveva dom Helder Camara.
Don Carlo era un prete di razza, che allora ancora esistevano i preti di razza montanara: gente resistente agli inverni lunghi di neve, con poco fieno scomodo di scarpata, l’aria fine, castagne e tanta, ma onorata, povertà. Quando -con l’armistizio- sulle sue montagne arrivarono i disperati, e i prigionieri di guerra, e i perseguitati politici, e la gente cominciò a morire davvero, non come nei film e nelle canzoni, don Carlo capì che i nuovi eventi chiedevano un carattere appropriato ai tempi, un cambio di passo, una scelta di parte. Non si va in paradiso a suon di preghiere lasciando indietro gli altri. Imbracciò il fucile, divenne un prete guerrigliero apertamente schierato con la Resistenza, uno dei pochi sacerdoti cattolici che, ignorando le regole canoniche, impugnarono le armi contro i nazifascisti. Non aveva in mente il sol dell’avvenire (nel buio, semmai, lo guidavano le stelle). Non sparò mai, se non in aria (per sé, s’affidava alla Madonna). Non scelse un colore politico (e forse per questo dopo la guerra nessuno si ricordò di lui). Seppe distinguere ciò che era fondamentale da tutto ciò che poteva essere discusso. Organizzò, comandò, coordinò i collegamenti tra partigiani e Alleati, salvò un sacco di gente. Finalmente, col 25 aprile, quando le brigate partigiane arrivarono in città con le armi e i fiori nelle mani, abbronzati, sorridenti, felici, Don Carlo si tenne solo i fiori, riconsegnò le armi e tornò in montagna a fare il prete. Aveva cumuli di macerie da ricostruire tra i rami dei castagni e aveva, di nuovo, la pace. Vola, colomba bianca, vola!

Sono passati più di 70 anni da quel 25 di aprile di riconquistata libertà. Sulla lotta di Resistenza, sulla guerra di Liberazione, ci sono mille pareri discordi. I “si dice” sono così tanti e così diversi che non conviene più considerarli neanche a titolo di curiosità. Il ricordo può essere svilito, il pensiero no. Le speranze di allora rivivono in quello che ancora noi speriamo. Don Carlo, partigiano reggiano, sorride da una vecchia polaroid, vicino a noi bambini, prete ormai anziano dal viso affilato e dalla magrezza elegante. Del nostro cielo libero, del nostro canto libero, lui ancora sorride.

di Daniela Baroncini

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